Sport, 12 marzo 2024

“Il mio calcio e il mio Lugano. Un’epoca unica e irripetibile"

L'’ex attaccante Vincenzo Brenna, leggenda bianconera, compie 80 anni

LUGANO - Vincenzo Brenna, bianconero nel cuore e nell’anima, ha compiuto 80 anni. Li ha festeggiati con gli amici e i parenti stretti al ristorante Stazione di Tesserete. Ancora recentemente ha presenziato al tradizionale pranzo con gli ex compagni di squadra del Lugano dei bei tempi andati. Sono rimasti in pochi, per la verità: Mario Prosperi, Ernesto Indemini, Adriano Coduri e Antonio Chiesa, protagonisti di una delle più belle epoche del calcio svizzero, i gloriosi e indimenticabili Anni Sessanta. Vincenzo, che abbiamo sentito nei giorni scorsi, non segue più con la stessa assiduità la squadra di Croci Torti, soprattutto da quando la tribuna Monte Brè è stata abbattuta per lasciare spazio al cantiere sul quale si sta costruendo il nuovo stadio. “Sino ad un paio di anni fa non mi perdevo una partita. Oggi seguo il Lugano alla TV.
In modo forse più distaccato anche se mi faccio sempre coinvolgere: quando vedo quei colori il mio cuore si rallegra. Sono tifoso del Lugano da quando sono ragazzino e non ho mai accettato che se ne parlasse male”, ci dice il popolare Vincenzo, che vive a Sonvico con la moglie Mariangela, sua compagna da più di 30 anni. E proprio in occasione del suo compleanno, abbiamo voluto dedicare all’ex attaccante del Lugano questo articolo, nella speranza che anche le giovani generazioni possano conoscere ed apprezzare il suo percorso calcistico: il passato spesso serve a spiegare il presente.


Vincenzo Brenna, dunque, un personaggio che ha sempre detto ciò che pensava (pane al pane, vino al vino come si suol dire) e non si è mai piegato alla ragione di stato, a costo di farsi qualche nemico e di non piacere ai benpensanti. “In realtà non ero un ribelle come qualcuno pensava: non ho mai voluto fare polemiche solo per il gusto di farle. Ho sempre cercato di rispettare tutti e ovviamente di farmi rispettare”, afferma il buon Cens, protagonista come detto di una grande epoca calcistica: siamo negli Anni Sessanta, nel mondo tira aria di cambiamento, nascono i primi movimenti pacifisti, i giovani si ribellano al sistema.


Gli idoli calcistici vengono oscurati dai cantanti pop: Bob Dylan, Joan Baez, i Beatles. Siamo nel 1968 e il Lugano di Louis Maurer vince dopo 37 anni la sua seconda Coppa Svizzera. È il 15 aprile: i bianconeri, guidati dal magistrale Otto Luttrop, il miglior straniero di sempre approdato sulle rive del Ceresio, battono il Winterthur (2-1, reti di Atom e Simonetti). Nasce il mito del Grande Lugano, squadra fatta in casa, con diversi giocatori ticinesi fra i titolari. Fra i quali Vincenzo Brenna. “Sì, tanto giocatori ticinesi, presi qua e la da club del calcio regionale. Io ero cresciuto calcisticamente nel Taverne, Prosperi e Signorelli nel Melide. E poi arrivarono anche Indemini, Gottardi, Coduri e Chiesa. Insomma: la base era locale e ciò costituiva un valore aggiunto. La parola identità le dice qualcosa? Oggi purtroppo non è più cosi: guardi la formazione del Lugano attuale...Se toglie Bottani quanti ticinesi ci sono? E tanti si chiedono ancora perché a Cornaredo ci sia poca gente. Mah...” .


La finale del 1968
Okay, torniamo però alla prima finale di Coppa da lei giocata. “Ci arrivammo dopo aver sconfitto il Lucerna in semifinale, grazie anche ad una rete del sottoscritto ai supplementari. A Berna ci toccò il Winterthur - che giocava in Divisione Nazionale B - allora si chiamava così, e che fra i pali annoverava un ticinese, Franco Caravatti. Eravamo i favoriti e questo non ci fu certo di aiuto. Alla fine tuttavia la miglior qualità ebbe la meglio. Io feci una fatica tremenda: il difensore a cui ero stato affidato, se non sbaglio Kehl, non mi fece prendere un palla”. Una vittoria sofferta che poi si trasformò in trionfo: “Al ritorno ci furono festeggiamenti per tutta la notte: la città sembrava impazzita. Ma io me ne andai a casa quasi subito perché il giorno dopo mi dovevo alzare presto per recarmi al lavoro. Il professionismo era solo un sogno, allora”.


Ma il Lugano, sempre nel
1968, era in corsa anche per vincere il campionato. “Fummo costretti ad uno spareggio a tre con Zurigo e Grasshopper. Ma noi il titolo lo buttammo alle ortiche nella partita casalinga di campionato contro lo Zurigo. Fummo beffati nelle fasi finali del confronto da un gollonzo di Künzli. Nella lotta contro le due zurighesi ci presentammo stanchi e la squadra di Edy Nägeli diventò campione. Per me fu una grande delusione”.


Classiche ed esordi
Le grandi sfide del passato, le grandi classiche per dirla tutta, presentavano sempre i pienoni. “Erano altri tempi, e il calcio è totalmente cambiato. E poi le opzioni erano poche. Ciò non toglie che Basilea-Lugano o Lugano-Zurigo facevano segnare affluenze da record. Per esempio la semifinale di Coppa Svizzera del 1967 al San Giacomo. Oltre 60 mila spettatori! Se ci ripenso mi vengono i brividi oltre alla soddisfazione di poter dire: io c’ero”.


Brenna con i grandi giocatori avversari non è che avesse un gran feeling.
“Non direi. O meglio: solo con il capitano e leader del Basilea Karl Odermatt non riuscivo proprio ad andare d’accordo. Lui ha sempre avuto dei pregiudizi sul Lugano. Probabilmente non gli piacevano i ticinesi. Durante le partite i nostri non furono duelli sempre corretti. Lui non mi sopportava proprio”. E a proposito Vincenzo ci racconta un aneddoto: “Ero stato convocato in Nazionale per una partita contro il Portogallo del grande Eusebio. Odermatt fece pressione sul commissario tecnico Ballabio affinchè mi escludesse dalla squadra titolare! E così fu”.


A proposito di Nazionale: quando fece il suo esordio? “Se non sbaglio a Basilea in un’amichevole del 1965 contro Germania: 65 mila spettatori! Ricevetti la convocazione per posta. Con me, anche Mariolino Prosperi, immaginatevi la gioia”.


E il debutto in maglia bianconera?
“Nel 1964 in amichevole contro il grande Milan di Sani, Mora, Rivera e del campione del mondo Altafini. Non toccai molti palloni ma uno finì sul palo dei nostri avversari. Mi dissi che non era poi andata tanto male, anche se in quel momento mi resi conto che per essere un giocatore di calcio avrei dovuto lavorare. E tanto”.


I palleggi di Maurer
Nei suoi 16 lunghi anni di carriera (sotto un’unica bandiera, quella bianconera) Vincenzo giocò prevalentemente in attacco. Spiega: “Fu Maurer a trasformarmi in ala, anche se mi muovevo su tutto il fronte offensivo. Ricordo che il romando mi obbligava a fare delle lunghissime sedute di palleggio contro il muro per perfezionare la tecnica. Nonostante qualche imprecazione di troppo, capii che Maurer aveva ragione ad insistere”.


L’ex bianconero ha certamente avuto una brillante carriera anche se gli è mancata la ciliegina sulla torta. “Oltre alla rabbia per aver perso contro il Servette la finale di Coppa del 1971, ho anche il rimpianto di non aver potuto giocare all’estero. Mi voleva l’Eintracht Francorforte, una squadra alla quale avevo segnato tre reti in amichevole. Non se ne fece nulla. Seppi della trattativa qualche mese dopo”.


Le liti con Atom
A Cornaredo, Brenna ha avuto il privilegio (sono parole sue) di giocare con Otto Luttrop: con il tedesco ha però avuto qualche screzio.“ Ma no – puntualizza – Certo il tedesco non aveva un carattere facile. Era un testone e non ammetteva mai i suoi errori. Con lui ci mandammo a quel paese un sacco di volte ma poi alla fine facevamo la pace. Otto fu un grande. Il miglior giocatore con cui abbia mai giocato”.


Sono ricordi, quelli che abbiamo appena raccontato, che Vincenzo si tiene stretto dentro il cuore. Ricordi di un periodo che ha fatto entusiasmare una generazione di “sessantottini della pelota”. La storia di un ottantenne signore, burbero magari, ma vero. Tanti auguri, caro Vincenzo.

M.A

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