Sport, 14 settembre 2023

Quella cravatta di Caszely che irritò il dittatore...

50 anni fa il golpe in Cile: l’esempio del talentuoso calciatore che si oppose a Pinochet

LUGANO - Per anni Carlos Caszely è stato uno dei calciatori più chiacchierati del Cile e del Sudamerica; un giocatore talentuoso ma anche un “politico” idealista e deciso assertore dei diritti civili. Oggi, a 73 anni suonati, collabora come opinionista con alcune reti radiofoniche del suo paese. Un modo come un altro per non staccare del tutto da quel mondo che lo ha visto protagonista per tanti anni. Lui che negli Anni Settanta, durante la sanguinaria dittatura di Augusto Pinochet, fu una delle voci del dissenso più ascoltate e discusse. Perché se un giocatore sale sul palco o rilascia dichiarazioni che possono ledere alla (presunta) onorabilità di un governante, l’impatto su chi ascolta è decisamente forte. Di Caszely si ricorda, chi è più in là con gli anni, di un episodio che gli ha segnato la carriera: alla vigilia dei Mondiali del 1974 la nazionale cilena ricevette nel ritiro la visita del generale Augusto Pinochet prima della partenza per la Germania. Il dittatore, che solo un anno prima aveva rovesciato con un cruento colpo di stato il presidente Salvador Allende, volle salutare di persona la squadra e ad uno ad uno strinse la mano a dirigenti, accompagnatori e calciatori. Ma quando si presentò davanti a Caszely, quest’ultimo si rifiutò di contraccambiarne il gesto. Il tutto generò grande imbarazzo. 



Anni dopo, nel 1985, i due si ritrovarono nuovamente faccia a faccia. Pinochet si avvicinò a Caszely, che indossava una cravatta rossa, e disse con fare provocatorio: “Ma lei porta sempre la cravatta?”. Carlos per nulla intimorito rispose che: “sì, non me la tolgo mai. La porto dalla parte del cuore”. Subito dopo il generale fece il gesto delle forbici per far capire che quella cravatta l’avrebbe tagliata in tanti pezzi. Rabbioso come non mai.


Le due scene che abbiamo appena narrato succintamente, testimoniano il coraggio e la spavalderia di Caszely, uno dei migliori calciatori cileni di ogni epoca ma anche patriota e uomo anti-regime durante un periodo in cui un giocatore professionista ligio al potere aveva solo da guadagnare. La sua voce autorevole si alzò invece contro Augusto Pinochet e ciò che rappresentava. Lo chiamavano hombre vertical, una persona aliena ad ogni tipo di compromessi, anche se questo atteggiamento poteva costargli la vita. Ma Pinochet, che ne aveva probabilmente apprezzato l’audacia, non lo punì direttamente: si rifece sulla mamma di Carlos, che finì in isolamento prima e sotto tortura poi.


E quando nel settembre del 1973, esattamente 50 anni fa, i militari guidati da Augusto Pinochet rovesciarono il governo democraticamente eletto di Salvador Allende, Carlos si trovava in Spagna (giocava nel Levante). Il suo primo impatto con un Cile diverso da quello che aveva sognato e immaginato avvenne due mesi dopo il golpe: allo Stadio Nacional di Santiago era infatti in programma il ritorno dello spareggio per accedere ai Mondiali del 1974 in Germania. Il Cile avrebbe dovuto incontrare l’Unione Sovietica che tuttavia decise di non scendere in campo nello stadio del terrore. La partita divenne una farsa, visto che il Cile scese in campo senza avversari. Dapprima segnò il gol dell’1-0 con capitan Valdes, poi toccò a Caszely e ancora Valdes che per timori di ritorsioni non ebbero il coraggio di finire quella sceneggiata. Il Cile andò ai Mondiali, senza troppo merito e con il disprezzo di tutta l’opinione pubblica mondiale. E alla vigilia della rassegna iridata, come detto prima, Pinochet volle far visita alla nazionale cilena e salutare i giocatori. Come andò a finire lo abbiamo raccontato sopra. Caszely venne comunque convocato per la rassegna germanica ma la sua avventura durò pochissimo perché all’esordio contro la Germania Ovest venne espulso quasi subito. Fu il primo giocatore a ricevere il cartellino rosso appena introdotto dalla FIFA. In patria la stampa lo massacrò e sino al 1982 non venne più richiamato in Nazionale, vittima dell’ostracismo della federazione, guidata dai portaborse di Pinochet. Fu comunque grazie a lui se il Cile si qualificò per i Mondiali di Spagna. Ma proprio nel paese iberico accadde un altro colpo di scena: contro l’Austria sbagliò il rigore che provocò l’eliminazione della squadra andina; la stampa cilena non aspettava altro per metterlo al bando. Carlos non se ne curò, e anzi nel 1985 incontrò nuovamente Pinochet: non gli strinse la mano e indossò per l’occasione una cravata rossa che fece imbufalire il despota.


L’ex attaccante del Colo Colo partecipò nel 1988 alla campagna referendaria contro la riconferma di Pinochet alla presidenza. Con il 55% dei voti il presidente fu sconfitto e il Cile cominciò a diventare un paese più democratico, anche se ci sarebbero voluti ancora diversi anni prima che diventasse veramente libero. Tra i tanti spot contro la dittatura uno ebbe un ruolo decisivo: una signora sulla settantina si presentò davanti alle telecamere e raccontò degli abusi, delle vessazioni e delle torture che il regime dittatoriale le aveva inflitto. Pochi istanti prima che si spegnessero le telecamere apparve Carlos Caszely: doveva prendersi la rivincita per non aver trovato il coraggio d’interrompere la partita della vergogna contro la nazionale sovietica nel lontano 1973. Disse: “ Per questo il mio voto è No. Perché la sua allegria è la mia allegria. Perché i suoi sentimenti sono i miei sentimenti. Perché questa bella signora è mia madre”.

JACK PRAN

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