*Articolo dal Mattino della Domenica
Un parco in zona Via Vergiò a Breganzona. Tante casette attorno, tanta gente che, di giorno e alla sera, si ritrova per parlare e discutere con i famigliari, gli amici o semplici conoscenti. Aggregazione: avete mai sentito questa parola? Se ne abusa, spesso e volentieri. Perchè di aggregazione e amicizia, in quel parco di Via Vergiò a Breganzona proprio non se ne vede. Anzi. La storia che vi raccontiamo oggi, incredibile e allucinante come diciamo nel titolo, è una storia di violenza, umiliazione e di scarsa, per non dire nulla, umanità. E sul banco degli imputati ci finiscono madri indegne di tal nome, energumeni da quattro soldi, una polizia insensibile e indifferente; una giustizia che non fa il suo mestiere. La vittima è una donna di 75 anni. Una vita difficile: un marito che è stato spesso lontano, senza figli e con i parenti lontani, nel Sud Italia. Tanta solitudine, tanta tristezza, soprattutto ora che è diventata vedova. È lei la protagonista del racconto settimanale che il Mattino della Domenica vi propone ormai da mesi e che mette ancora una volta a nudo le carenze di un Cantone che dovrebbe essere un modello di convivenza e pace, ma che ultimamente sembra non garantire più la sicurezza e la pace ai suoi cittadini. Quante volte abbiamo pubblicato su queste colonne le denunce di persone vittime della violenza e mai risarcite (almeno moralmente) dalla giustizia? “Quel verde prato di Breganzona dovrebbe essere una specie di paradiso per gli abitanti del posto. Ma negli ultimi anni per me si è trasformato in un inferno. Non ho più pace, non riesco a dormire di notte. E il tutto perché sono stata vittima di un atto di una violenza inaudita e perché il seguito è stato ancora peggio” ci dice Angie.
Ma cosa è successo a questa signora di origini calabro-brasiliane? “Qualche tempo fa mi sono recata al parco, che si trova vicino a casa mia, per portare a passeggio il cane. Nella zona gira gente poco raccomandabile: se qualche anno fa si poteva vivere in pace, ora la situazione è radicalmente cambiata. Ci sono schiamazzi e rumori a ogni ora del giorno e della notte, gira gente strana e si formano dei piccoli clan diciamo così “etnici”. In questo contesto non è facile stare ed ho provato a reclamare: ho semplicemente chiesto alle persone di stare tranquille e di non fare casino. È stato sufficiente per scatenare i più bassi istinti umani", afferma la nostra interlocutrice.
E cioè? “Quel giorno una ragazzina mi si è avvicinata e ha cominciato a prendermi in giro. Ho capito subito che era stata mandata lì da qualcuno per provocarmi. Le mie proteste davano fastidio.
Io gli ho risposto garbatamente di lasciarmi in pace, aggiungendo che quella ragazza si stava inventando tutto. Non è stato sufficiente: ha cominciato a darmi pugni e schiaffi e mi ha colpito alla nuca. Sono finita per terra e ho perso parzialmente conoscenza. Per fortuna una signora che ha presenziato alla scena ha chiamato la polizia e l’ambulanza”.
Quindi? “Col passare dei minuti ho ripreso conoscenza. Giusto il tempo di raccontare la vicenda agli agenti. Quest'ultimi, fra il mio stupore generale, hanno cominciato a prendermi in giro, chiedendomi se avessi bevuto. Allora non ci ho più visto e ho cominciato a urlare. Poi sono andata in ospedale e in seguito, quando mi sono ripresa, mi sono recata in polizia a sporgere denuncia. Nel frattempo avevo scoperto che quella ragazzina era stata mandata lì a provocarmi da una mamma che non mi sopportava per via delle mie proteste”.
La storia prende però una brutta piega. “Sì, perché l’unica testimone dell’aggressione si è tirata indietro e la polizia ha scritto nel verbale che il mio stato d’animo non mi permetteva di essere lucida e di spiegare bene i fatti. Una brutta mazzata! Oltretutto qualche settimana dopo ho dovuto recarmi in ospedale per un’ operazione alla schiena. La polizia anziché proteggermi e assicurare alla giustizia colui che mi aveva picchiata, mi aveva fatto passare per pazza”.
Ma nemmeno la sua denuncia penale ha avuto il seguito desiderato. “ Il procuratore (una donna!) ha infatti archiviato il caso, perché a suo dire non c’erano elementi sufficienti per aprire una procedura. Alla fine, oltre alle botte, sono stata pure presa in giro. Sono delusa ed amareggiata, ma non mollo: questa storia non deve finire così” chiude con toni amareggiati Angie.
Finale: che cosa deve fare un cittadino che viene aggredito o perseguitato per avere giustizia? E che cosa aspetta la polizia per garantire sicurezza ai suoi concittadini? Che ci scappi il morto? Ma non solo: la giustizia faccia giustizia, sino in fondo. Altrimenti il bel giardino diventerà una giungla. A proposito: l’aggressore gira libero come se nulla fosse successo.
*Edizione del 13 marzo





