René Higuita? Ma sì, quello che inventò il celebre colpo dello scorpione negli Anni Ottanta, un modo inedito di parare che consisteva nel lasciar scorrere la palla dietro alla testa e poi colpirla in tuffo con entrambe le scarpe. Spettacolo puro. Ma non solo: il portiere della Colombia e del Nacional di Medellin è stato anche un precursore dei tempi: nelle giovanili del suo primo club, l'Envigado giocava al limite della propria area e scartava con facilità tutti gli attaccanti che puntavano a rete. Anche nella vita fuori dal campo non è passato inosservato: è stato amico personale di Pablo Escobar, uno dei più violenti e ricchi trafficanti di droga, ed è stato anche consumatore incallito di cocaina. Come tanti altri suoi compagni di squadra. Solo che lui aveva qualcosa che lo rendeva differente e il solo fatto che frequentasse El patron e godesse dei suoi favori, lo mettevano nella condizione di scorazzare a destra e a manca nella notte di Medellin come se fosse un re. Protetto dai sicari del capo, che era sponsor del Nacional, e ambito da giovani donne attratte dalla sua fama e dalla sua ricchezza.
Da allora sono passati molti anni ma El Scorpion, come venne soprannominato, non è ancora del tutto al riparo dalle maglie della giustizia colombiana: se si reca all’estero deve sempre comunicare la sua residenza o presentarsi all’ambasciata e quando si trova a Medellin deve presentarsi alle autorità regolarmente a marcare presenza. I conti con la legge non li ha ancora pagati del tutto, lui che per Escobar aveva una sorta di venerazione (andò a trovarlo nel carcere La Catedral, ripreso dalle TV di tutto il mondo).
“Sapevo che Don Pablo fosse un uomo molto potente e spietato - dice oggi René - ma personalmente non mi sono mai sentito in pericolo con lui. Avevo libero accesso alla sua splendida villa, frequentavo le sue feste ed ero uno dei pochi che vi entrava senza alcuna scorta”.
Da allora sono passati molti anni ma El Scorpion, come venne soprannominato, non è ancora del tutto al riparo dalle maglie della giustizia colombiana: se si reca all’estero deve sempre comunicare la sua residenza o presentarsi all’ambasciata e quando si trova a Medellin deve presentarsi alle autorità regolarmente a marcare presenza. I conti con la legge non li ha ancora pagati del tutto, lui che per Escobar aveva una sorta di venerazione (andò a trovarlo nel carcere La Catedral, ripreso dalle TV di tutto il mondo).
“Sapevo che Don Pablo fosse un uomo molto potente e spietato - dice oggi René - ma personalmente non mi sono mai sentito in pericolo con lui. Avevo libero accesso alla sua splendida villa, frequentavo le sue feste ed ero uno dei pochi che vi entrava senza alcuna scorta”.
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Con Escobar, racconta, esisteva un filo diretto e anche per questo motivo ha pagato e continua a pagare. “Ricordo che quando venne rapita la figlia di un mio amico, mi prestai disinteressatamente per favorire il suo rilascio. I rapimenti per un riscatto ingente erano molto frequenti in Colombia a quei tempi. Sapevo che la banda che aveva rapito la ragazza era di Pablo Escobar e voleva mezzo milione di dollari. Io favorii la transazione e me ne versarono 60 mila senza che avessi chiesto nulla. Ho sempre detto che non ho tenuto un solo dollaro di quei soldi ma non mi ha creduto nessuno e mi hanno condannato”. Per questo finì in carcere.
Con Escobar, racconta, esisteva un filo diretto e anche per questo motivo ha pagato e continua a pagare. “Ricordo che quando venne rapita la figlia di un mio amico, mi prestai disinteressatamente per favorire il suo rilascio. I rapimenti per un riscatto ingente erano molto frequenti in Colombia a quei tempi. Sapevo che la banda che aveva rapito la ragazza era di Pablo Escobar e voleva mezzo milione di dollari. Io favorii la transazione e me ne versarono 60 mila senza che avessi chiesto nulla. Ho sempre detto che non ho tenuto un solo dollaro di quei soldi ma non mi ha creduto nessuno e mi hanno condannato”. Per questo finì in carcere.
Dopo i fasti degli Anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, il portiere colombiano venne escluso dalla nazionale. E ciò avvenne dopo l’uccisione di Pablo Escobar a Medellin nel 1993: “Era come se non fossi più il portiere della Colombia, l’eroe di molte battaglie ma solo un delinquente comune”. La gente e la federazione lo avevano abbandonato.
Il peggio venne in seguito: Higuita cominciò a bere e a consumare cocaina con maggior frequenza. Finito come calciatore, ebbe comunque la forza e la faccia tosta di partecipare ad alcuni talk televisivi in cui si faceva pagare a peso d'oro interviste esclusive su droga, soldi ed Escobar. Disse un giorno: “Non sono orgoglioso di tutto quello che ho fatto nella vita, sono solo un povero peccatore”.
E oggi? Ogni tanto lo si vede nelle televisioni colombiane. A dose omeopatiche, appunto, perché in fondo lui è sempre Higuita, il calciatore amico di Pablo Escobar. Gli anni passano, ma il portiere della Colombia probabilmente più forte di tutti i tempi, è pur tuttavia vivo nella mente della sua gente.
“In fondo non ha mai ammazzato nessuno” chiosa.
JACK PRAN
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