Il 1998 verrà ricordato per le gesta sportive della Francia multietnica campione del mondo, per la doppietta di Marco Pantani (Giro e Tour), per il caso Festina (una pagina vergognosa di ciclismo) ma anche per le morti repentine e inattese di alcun giocatori di hockey. Uno dei quali, Chad Silver, giocava nello Zurigo, una delle squadre più forti del nostro massimo campionato. Il suo fu un decesso tragico, come testimoniò il dottore dei Lions Gerry Busser, che in una intervista memorabile al Blick disse che “la tragica morte di Chad Silver fa parte della storia della ZSC tanto quanto un titolo di campione”.
Ma non solo: tutto l’ambiente fu scosso dal tragico evento, perché il giocatore proveniente dal Canada ma di passaporto svizzero per via della mamma, era uno dei beniamini del pubblico e soprattutto uno dei giocatori più benvoluti dai compagni di squadra. Michael Zeiter, che giocava in linea con lui, lo descrisse
“come il miglior compagno possibile, sempre allegro, sempre sorridente, disponibile, non avrebbe mai fatto un torto a nessuno”. Anche il suo allenatore Kent Runhke lo descriveva come un professionista serio ma capace di “sdrammatizzare e di regalare una bella parola a tutti”.
Di certo, quel 3 dicembre del 1998 resterà una delle pagine più nere per il movimento hockeistico nazionale. Quella mattina lo Zurigo, che avrebbe dovuto affrontare il Berna il giorno dopo, stava svolgendo il solito warm up. Ma in pista mancava Silver e nessuno sapeva dove fosse finito. Il team manager provò a cercarlo sul cellulare ma senza ricevere risposta. Al termine della sgambata, Kent Runhke e alcuni suoi compagni si recarono nel suo appartamento e con grande sorpresa e angoscia lo trovarono morto nel suo letto. Silver aveva solo 29 anni. Aveva ancora diverse stagioni davanti e soprattutto un sogno da realizzare: il titolo svizzero, che aveva perso quando giocava a Friborgo e a Zugo.
Per i Lions e il nostro hockey fu,
Ma non solo: tutto l’ambiente fu scosso dal tragico evento, perché il giocatore proveniente dal Canada ma di passaporto svizzero per via della mamma, era uno dei beniamini del pubblico e soprattutto uno dei giocatori più benvoluti dai compagni di squadra. Michael Zeiter, che giocava in linea con lui, lo descrisse
“come il miglior compagno possibile, sempre allegro, sempre sorridente, disponibile, non avrebbe mai fatto un torto a nessuno”. Anche il suo allenatore Kent Runhke lo descriveva come un professionista serio ma capace di “sdrammatizzare e di regalare una bella parola a tutti”.
Di certo, quel 3 dicembre del 1998 resterà una delle pagine più nere per il movimento hockeistico nazionale. Quella mattina lo Zurigo, che avrebbe dovuto affrontare il Berna il giorno dopo, stava svolgendo il solito warm up. Ma in pista mancava Silver e nessuno sapeva dove fosse finito. Il team manager provò a cercarlo sul cellulare ma senza ricevere risposta. Al termine della sgambata, Kent Runhke e alcuni suoi compagni si recarono nel suo appartamento e con grande sorpresa e angoscia lo trovarono morto nel suo letto. Silver aveva solo 29 anni. Aveva ancora diverse stagioni davanti e soprattutto un sogno da realizzare: il titolo svizzero, che aveva perso quando giocava a Friborgo e a Zugo.
Per i Lions e il nostro hockey fu,
come detto, un colpo terribile. “Chad era una persona felice, tutti volevano un giocatore come lui in squadra. Il tempo che abbiamo trascorso al suo fianco è stato davvero speciale” disse Claudio Micheli, già ex giocatore biancoblù e prima ancora dei Lions. Chad faceva l’unanimità: non c’era nessuno con cui non andasse d’accordo, rivelò Zeiter. La sua fu certamente una morte inattesa: due giorni prima si era infatti sottoposto ad un controllo medico in quel di Davos, subito dopo aver subito una carica da Equilino. Insomma: sembrava che non ci fossero problemi.
Eppure l’autopsia rivelerà che aveva una grave malattia ai tre vasi, “una cosa molto insolita a questa età”, affermò il dottor Büsser. E infatti nei giorni seguenti la tragedia, tutti si fecero tante domande: questo caso sollevò molti dubbi. Come mai, malgrado i controlli frequenti e le nuove tecnologie, non si riuscì a scoprire per tempo il problema che affliggeva il giocatore? Ancora oggi questo interrogativo aleggia sulla morte di Chad Silver, che proprio pochi giorni prima di morire aveva telefonato in Canada al padre dicendogli che al termine di quella stagione lo Zurigo avrebbe vinto in titolo. Sbagliò di poco previsione.
Eppure l’autopsia rivelerà che aveva una grave malattia ai tre vasi, “una cosa molto insolita a questa età”, affermò il dottor Büsser. E infatti nei giorni seguenti la tragedia, tutti si fecero tante domande: questo caso sollevò molti dubbi. Come mai, malgrado i controlli frequenti e le nuove tecnologie, non si riuscì a scoprire per tempo il problema che affliggeva il giocatore? Ancora oggi questo interrogativo aleggia sulla morte di Chad Silver, che proprio pochi giorni prima di morire aveva telefonato in Canada al padre dicendogli che al termine di quella stagione lo Zurigo avrebbe vinto in titolo. Sbagliò di poco previsione.
“La morte di Silver è stato un trauma per tutti noi. Ma questa tragedia ci ha fatto crescere come squadra”, disse Claudio Micheli. “Se un giorno vinceremo il titolo lo dedicheremo a lui”, aggiunse. Detto fatto, nel 2000 lo Zurigo diventerà campione, a spese del Lugano, e si ricorderà di Chad, la cui memoria resta viva nei giocatori, nei tifosi e nei dirigenti ogni qualvolta passano davanti alla sua statua che campeggia davanti all’Hallenstadion.
“Tutti coloro che vogliono bene a questa squadra ricordano la sua storia”. Dirà Matthias Seger.
JACK PRAN