Sport, 08 novembre 2021

Moacir Barbosa simbolo di una storica disfatta

Il portiere del Brasile sconfitto nel 1950 dall’Uruguay vittima di un bieco ostracismo

In Brasile la pena massima per un malvivente è di trent’anni, ma io sto pagandone più di quaranta per un crimine mai commesso!”. Queste paroleMoacir Barbosa le pronunciò sul finire del secolo scorso durante una intervista rilasciata a Luis Mendes, uno dei più popolari giornalisti brasiliani. Sancivano lo stato d’animo di un uomo che era stato eretto a simbolo di un disastro calcistico nel “ pais do futebol”, in quel Brasile che non ha mai accettato il beffardo destino del 16 luglio del 1950 quando venne privato di un titolo mondiale tanto desiderato.“ Ho pagato caro la sconfitta contro l’Uruguay: per anni ho subito una sorta di ghettizzazione sportiva da parte dei club e pure della stampa. E sono stato anche deriso dalla gente”, disse il portiere brasiliano.


Ma chi era in realtà Moacir Barbosa? Nato a Campinas, nello stato di Sao Paulo, si avvicinò prestissimo al calcio. Subito dopo la seconda guerra mondiale fu comprato dal Vasco da Gama di Rio: per l’epoca un trasferimento clamoroso. Moacir, del resto, era uno dei pezzi pregiati del mercato. Ben presto i tifosi carioca si accorsero delle sue qualità e ben presto il commissario tecnico Flavio Costa lo chiamò a far parte della rosa della Seleçao. Barbosa era bravo a neutralizzare i rigori, era forte nelle uscite ed aveva un senso della posizione non comune. Con il Vasco vinse la Coppa Sudamericana nel 1948 (la Libertadores odierna) e sei volte il campionato carioca. Con il Brasile fu campione del Sudamerica nel 1949. Un anno prima del tracollo.


Un pareggio clamoroso
La Seconda Guerra Mondiale è appena terminata e le nazioni colpite stanno rialzando la testa. L’Europa è un cumulo di macerie mentre il Sudamerica è stato appena sfiorato dall’eco delle battaglie. Ecco perché la FIFA nel 1948 decide di affidare i Mondiali al Brasile, nazione emergente del panorama politico ed economico internazionale. La Germania e il Giappone non vengono invitate, è ancora troppo forte il risentimento dei popoli nei confronti di queste nazioni che sono state all’origine di tutti i mali del pianeta. L’Italia viene invece risparmiata dalle misure della federazione internazionale di calcio e partecipa così alla quarta edizione del Mondiale. La squadra si reca in Brasile via mare e durante l’attraversata
dell’Atlantico, tutti i palloni usati per le sedute di allenamentofiniscono in mare. Ma intanto in Brasile l’attesa è febbrile: il calcio, come il carnevale e il samba, è passione pura. Il governo fa costruire anche uno stadio destinato al mito e alla leggenda: il Maracanà di Rio, dedicato ad un giornalista carioca, Mario Filho. Tutti gli occhi, inevitabilmente, sono puntati sulla squadra di Flavio Costa.


Ai nastri di partenza ci sono solo 13 squadre. Molte le rinunce. Partecipaanche la Svizzera che si rende protagonista di una grande impresa. Il 28 giugno a Sao Paulo i rosscrociati costringono al pareggio i padroni di casa (2-2, doppietta di Fatton). Il nostro CT è il luganese Franco Andreoli. In panchina siede il granata Felice Soldini. Al mezzo passo falso dei brasiliani non viene però dato molto peso, anche perché nel gironcino finale a quattro, sommergono di reti sia la Svezia (7-1) che la Spagna (6-1). Ora non resta che liquidare la pendenza Uruguay e laurearsi campioni del mondo.


Una tragedia nazionale
In casa brasiliana tutti sono convinti: la Seleçao farà un solo boccone della Celeste. In tutto il paese si festeggia come se il Brasile avesse già vinto. Un giornale vespertino esce addirittura con un’edizione speciale dal titolo: Campioni del mondo! Ma come disse Jules Rimet,“era tutto previsto meno il trionfo dell' Uruguay”. Al Brasile basta un punto mentre i suoi rivali devono per forza vincere.


Dopo un primo tempo nervoso, ad inizio ripresa Friaça apre le marcature: Brasile 1, Uruguay 0. A quel punto il capitano degli ospiti Obdulio Varela prende il il pallone e se lo mette sotto il braccio, ritardando la ripresa della partita. La squadra di Costa comincia ad innervosirsi mentre l’Uruguay si aggrappa alla regia di Schiaffino che al 66’ batte Barbosa e rilancia le quotazioni della Celeste. Ma ci vuole ancora un gol per alzare al cielo la coppa. Detto fatto, al 79' arriva il raddoppio: Ghiggia beffa il portiere brasiliano (mal posizionato) e sul Maracanà cala il silenzio. Le cronache raccontano di numerosi suicidi fra i tifosi locali. Per Barbosa è il pubblico ludibrio, che durerà sino al giorno della sua morte, il 7 aprile del 2000. Assurdo.

JACK PRAN

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