È tempo di bilanci, è tempo di alzare peana, di scappare dalla retorica nazionalista, di festeggiare (in modo sano), di stigmatizzare i post razzisti apparsi sui social contro i giocatori di colore inglesi ma è anche il tempo degli abbracci e delle lacrime: quelle di Chiellini a Jordi Alba ma soprattutto di Roberto Mancini e Gianluca Vialli, vecchi compagni di merende calcistiche. Il condottiero non esita a concedere la scena ad un amico che sta lottando per la vita. C’è tanta umanità nel gesto degli ex sampdoriani. Il momento forse più intenso di un Europeo che i soliti soloni difensori del prodotto calcio hanno eletto a migliore di sempre. Probabilmente abbiamo visto un altro campionato. Di certo la bellezza è un’altra cosa: non si è trasformata in un noiosissimo possesso palla né si é mascherata dietro all’intensità agonistica glorificata. La bellezza é soggettiva, ci mancherebbe, e a noi piace pensare che questo sport possa esprimere molto di più di quanto visto sui campi di tutta Europa. A proposito: nota 0 a chi ha voluto la formula itinerante. Roba da pazzi.
E mentre c’è già chi pensa al prossimo Mondiale (novembre-dicembre 2022, Qatar: follia, pazzia, vergogna, non ci viene in mente altro), noi ci soffermiamo sul momento sportivamente più bello e intrigante della rassegna appena consegnata agli archivi, non prima aver ricordato che l’Italia è stata la migliore, che la Spagna ha vestito i panni della principessa del reame, la Danimarca la favola (a proposito: tanti auguri a Christian Eriksen), la Germania la delusione e il Belgio l’eterna incompiuta. Perfetto. Ma la partita più bella ed emozionante, concedetecelo, l’hanno giocata Svizzera e Francia. E allora chiamiamola senza remore miracolo rossocrociato! Senza
E mentre c’è già chi pensa al prossimo Mondiale (novembre-dicembre 2022, Qatar: follia, pazzia, vergogna, non ci viene in mente altro), noi ci soffermiamo sul momento sportivamente più bello e intrigante della rassegna appena consegnata agli archivi, non prima aver ricordato che l’Italia è stata la migliore, che la Spagna ha vestito i panni della principessa del reame, la Danimarca la favola (a proposito: tanti auguri a Christian Eriksen), la Germania la delusione e il Belgio l’eterna incompiuta. Perfetto. Ma la partita più bella ed emozionante, concedetecelo, l’hanno giocata Svizzera e Francia. E allora chiamiamola senza remore miracolo rossocrociato! Senza
paura di essere smentiti o tacciati di sciovinismo.
Sì, perché quello che hanno fatto gli uomini di Vladimir Pektovic negli ottavi di finale a Bucarest resterà per sempre nella storia. Non una cosa di cui andare fieri (sono ben altre quelle…), come impone la retorica, ma una serata da tenerci stretti dentro il cuore. Ci viene in mente Davide contro Golia, ma anche Corea del Nord-Italia, l’arroganza sconfitta dall’umiltà e dalla dedizione. Pensiamo ad un gruppo che ha saputo conquistare l’affetto delle genti confederate. Ma non perché ha cantato o meno l’inno o perché i giocatori si sono tenuti la mano sul cuore. No, per il coraggio e la sfrontatezza con cui hanno mandato al tappeto i presuntuosi francesi. Ricorderemo sempre Bucarest: quel doppio svantaggio (1-3) e quella pazzesca rimonta, quel finale a tinte gialle disegnato dalla traiettoria del pallone calciato da Mbappè, presunto calciatore più forte del pianeta, e dalla spettacolare deviazione del nostro Sommer.
Ricorderemo sempre quei rigori che dopo 70 anni ci hanno portato nei quarti di finale e proiettati ad una sfida improbabile. È come se avessimo preso la Bastiglia, ci dice un collega navigato: è come se avessimo smontato pezzo per pezzo il simbolo della protervia e del “realismo” come fecero nel 1789 i parigini, stanchi delle angherie e delle vessazioni.
La Svizzera è uscita dai quarti di finale ma quella partita e quel trionfo contro i francesi resterà il simbolo della ribellione ai poteri (calcistici) forti. Non saremo i campioni d’Europa di un torneo fra i meno belli di sempre. Ma una grossa fetta di stima planetaria ce la siamo proprio guadagnata. Allez la Suisse!
Sì, perché quello che hanno fatto gli uomini di Vladimir Pektovic negli ottavi di finale a Bucarest resterà per sempre nella storia. Non una cosa di cui andare fieri (sono ben altre quelle…), come impone la retorica, ma una serata da tenerci stretti dentro il cuore. Ci viene in mente Davide contro Golia, ma anche Corea del Nord-Italia, l’arroganza sconfitta dall’umiltà e dalla dedizione. Pensiamo ad un gruppo che ha saputo conquistare l’affetto delle genti confederate. Ma non perché ha cantato o meno l’inno o perché i giocatori si sono tenuti la mano sul cuore. No, per il coraggio e la sfrontatezza con cui hanno mandato al tappeto i presuntuosi francesi. Ricorderemo sempre Bucarest: quel doppio svantaggio (1-3) e quella pazzesca rimonta, quel finale a tinte gialle disegnato dalla traiettoria del pallone calciato da Mbappè, presunto calciatore più forte del pianeta, e dalla spettacolare deviazione del nostro Sommer.
Ricorderemo sempre quei rigori che dopo 70 anni ci hanno portato nei quarti di finale e proiettati ad una sfida improbabile. È come se avessimo preso la Bastiglia, ci dice un collega navigato: è come se avessimo smontato pezzo per pezzo il simbolo della protervia e del “realismo” come fecero nel 1789 i parigini, stanchi delle angherie e delle vessazioni.
La Svizzera è uscita dai quarti di finale ma quella partita e quel trionfo contro i francesi resterà il simbolo della ribellione ai poteri (calcistici) forti. Non saremo i campioni d’Europa di un torneo fra i meno belli di sempre. Ma una grossa fetta di stima planetaria ce la siamo proprio guadagnata. Allez la Suisse!
RED.