I Mondiali di Spagna sono alle spalle, anche se negli occhi di tutti c’è ancora la strabiliante e per certi versi sorprendente marcia degli azzurri. Non dimenticano, gli osservatori, il Brasile “stellare” e la Francia tutta “calcio champagne”. E come scordare la solida e solita Germania, che si arrende solo al Bernabeu? La fase finale dell’Europeo è dunque una occasione di rivincita per gli sconfitti del 1982. Ma la sorpresa in negativo viene dall’Italia: vittima del conservatorismo del suo CT Bearzot, fallisce clamorosamente l’accesso a Francia ’84: è eliminata dalla Romania. Per i campioni del mondo è un duro colpo: in un batter d’occhio la squadra che aveva meravigliato tutti, diventa una banda di “reprobi”.
La critica ci va giù pesante. Tecnico e giocatori non vengono risparmiati. Il primo segnale che non sarebbe stata una passeggiata arriva nell’autunno del 1982, quando nella partita amichevole per celebrare il titolo mondiale appena conquistato l’Italia viene sconfitta dalla Svizzera a Roma (rete di Elsener). Un campanello d’allarme a cui in pochi fanno caso. E infatti succede l’irreparabile. Azzurri a casa, così come la Polonia, quarta ai Mondiali, la Cecoslovacchia e, udite udite, anche l’Olanda, una delle nazionali più in vista del panorama internazionale.
Alla fase finale si qualificano peraltro la Germania Ovest, in piena fase di ricambio e “oscurata” dalle polemiche interne, la Spagna di Miguel Munoz, reduce da un Mundial casalingo assai deludente, la Romania di cui sopra (alla guida c’è un giovane Mircea Lucescu), il Belgio (che ha fatto fuori la Svizzera), il Portogallo, guidato dal talentuoso centrocampista Chalana e dalla punta Jordao, la Danimarca di Morten Olsen e Alan Simonsen e infine la Jugoslavia genio e sregolatezza. Oltre, ovviamente, alla Francia padrona di casa e gran favorita: perché è guidata dal miglior giocatore del mondo del momento (Maradona non è ancora esploso in tutta la sua grandezza) e da un centrocampo da sogno. Le manca un attaccante da “urlo” ma bastano e avanzano i geni del quadrato di mezzo: Platini, Giresse, Fernandez e Tigana.
La formula del torneo è praticamente uguale a quella del 1980. Con una sola ma fondamentale modifica: tornano le semifinali, abolite in modo incauto quattro anni prima.
La critica ci va giù pesante. Tecnico e giocatori non vengono risparmiati. Il primo segnale che non sarebbe stata una passeggiata arriva nell’autunno del 1982, quando nella partita amichevole per celebrare il titolo mondiale appena conquistato l’Italia viene sconfitta dalla Svizzera a Roma (rete di Elsener). Un campanello d’allarme a cui in pochi fanno caso. E infatti succede l’irreparabile. Azzurri a casa, così come la Polonia, quarta ai Mondiali, la Cecoslovacchia e, udite udite, anche l’Olanda, una delle nazionali più in vista del panorama internazionale.
Alla fase finale si qualificano peraltro la Germania Ovest, in piena fase di ricambio e “oscurata” dalle polemiche interne, la Spagna di Miguel Munoz, reduce da un Mundial casalingo assai deludente, la Romania di cui sopra (alla guida c’è un giovane Mircea Lucescu), il Belgio (che ha fatto fuori la Svizzera), il Portogallo, guidato dal talentuoso centrocampista Chalana e dalla punta Jordao, la Danimarca di Morten Olsen e Alan Simonsen e infine la Jugoslavia genio e sregolatezza. Oltre, ovviamente, alla Francia padrona di casa e gran favorita: perché è guidata dal miglior giocatore del mondo del momento (Maradona non è ancora esploso in tutta la sua grandezza) e da un centrocampo da sogno. Le manca un attaccante da “urlo” ma bastano e avanzano i geni del quadrato di mezzo: Platini, Giresse, Fernandez e Tigana.
La formula del torneo è praticamente uguale a quella del 1980. Con una sola ma fondamentale modifica: tornano le semifinali, abolite in modo incauto quattro anni prima.
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Nel primo girone i transalpini vincono a mani basse, anche se nell’incontro inaugurale faticano a battere la generosa e vivace Danimarca. Belgio e Jugoslavia non rendono come dovrebbero e così
Nel primo girone i transalpini vincono a mani basse, anche se nell’incontro inaugurale faticano a battere la generosa e vivace Danimarca. Belgio e Jugoslavia non rendono come dovrebbero e così
i danesi riescono ad acciuffare il secondo posto alle spalle di Platini e soci, malgrado, appunto, la sconfitta nella partita d’esordio. Francia e Danimarca in semifinale, dunque, così come Spagna e Portogallo che s’impongono nel secondo girone ai danni della Germania Ovest e della Romania.
L’inguardabile squadra tedesca è in piena bufera: il CT Jupp Derwall paga per tutti, e in particolare patisce la faida interna fra i giocatori, il cui rapporto è lacerato da invidie e gelosie. La Mannschaft stavolta fa cilecca. E così si arriva alle semifinali: da una parte Francia e Portogallo, probabilmente le squadre più forti del torneo; dall’altra la Danimarca, priva dell’infortunato Simonsen e la Spagna, che sino a quel momento non ha convinto.
La sfida fra i“galletti” di Michel Hidalgo e i lusitani è la più bella e avvincente del torneo: i portoghesi vanno avanti prima di essere raggiunti e costretti ai supplementari, durante i quali si scatena Platini, che segna il gol-partita ad un minuto dalla fine. Per gli oltre 20 mila emigrati portoghesi presenti al Velodrome di Marsiglia la delusione è grande. Ma quel giorno il Portogallo dimostra di essere una grande squadra. Brava la Francia che ha saputo batterlo. Nell’altra semifinale è lotta senza quartiere. Ma solo i rigori dirimono la questione: sbaglia il veronese e futuro campione d’Italia Elkjaer Larsen e gli iberici sono in finale. Con un gioco sparagnino e discusso, ma sono in finale.
Ma contro i “blù” non la fanno franca. Guidati da un centrocampo ricco di fantasia, geometria e talento, la Francia stana gli spagnoli: dapprima colpisce su punizione con Le Roi Platini (complice una papera di Arconada), poi negli ultimi minuti raddoppia in contropiede con Bellone. Pochi istanti prima era stato espulso Le Roux e le Furie Rosse si erano spinte avanti all’arrembaggio. Invano. Francia campione d’Europa 1984, con merito. Quello fu il suo primo importante trofeo internazionale: seguiranno i Mondiali del 1998, l’Europeo del 2000 e un altro Mondiale, nel 2018. Chapeau!
JACK PRAN
L’inguardabile squadra tedesca è in piena bufera: il CT Jupp Derwall paga per tutti, e in particolare patisce la faida interna fra i giocatori, il cui rapporto è lacerato da invidie e gelosie. La Mannschaft stavolta fa cilecca. E così si arriva alle semifinali: da una parte Francia e Portogallo, probabilmente le squadre più forti del torneo; dall’altra la Danimarca, priva dell’infortunato Simonsen e la Spagna, che sino a quel momento non ha convinto.
La sfida fra i“galletti” di Michel Hidalgo e i lusitani è la più bella e avvincente del torneo: i portoghesi vanno avanti prima di essere raggiunti e costretti ai supplementari, durante i quali si scatena Platini, che segna il gol-partita ad un minuto dalla fine. Per gli oltre 20 mila emigrati portoghesi presenti al Velodrome di Marsiglia la delusione è grande. Ma quel giorno il Portogallo dimostra di essere una grande squadra. Brava la Francia che ha saputo batterlo. Nell’altra semifinale è lotta senza quartiere. Ma solo i rigori dirimono la questione: sbaglia il veronese e futuro campione d’Italia Elkjaer Larsen e gli iberici sono in finale. Con un gioco sparagnino e discusso, ma sono in finale.
Ma contro i “blù” non la fanno franca. Guidati da un centrocampo ricco di fantasia, geometria e talento, la Francia stana gli spagnoli: dapprima colpisce su punizione con Le Roi Platini (complice una papera di Arconada), poi negli ultimi minuti raddoppia in contropiede con Bellone. Pochi istanti prima era stato espulso Le Roux e le Furie Rosse si erano spinte avanti all’arrembaggio. Invano. Francia campione d’Europa 1984, con merito. Quello fu il suo primo importante trofeo internazionale: seguiranno i Mondiali del 1998, l’Europeo del 2000 e un altro Mondiale, nel 2018. Chapeau!
JACK PRAN
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