“Riconosciamo che il vostro campito di gestire il Paese in tempi di emergenza sanitaria non è facile. Riteniamo tuttavia che alcune decisioni, anche quelle riprese dall’autorità federale, risultano poco comprensibili e apparentemente anche incoerenti e quindi veramente difficili da accettare (…)”. Inizia così, badando al sodo, la lettera che il Lido di Locarno (Centro Balneare Sa) ha indirizzato al Consiglio di Stato.
“Durante il cosiddetto “lockdown” della primavera – si legge – , tutti gli impianti balneari, di wellness e SPA, nonché le palestre di “fitness”, seguendo le indicazioni dell’UFSP, hanno elaborato dei concetti anti-pandemia con dei piani di protezione per il proprio personale e per gli ospiti/clienti, limitando anche il numero di accessi a dipendenza degli spazi disponibili, per poterli implementare non appena sarebbe giunto il nulla osta per la riapertura. Alla riapertura di inizio maggio per le palestre e di inizio giugno per i centri balneari questi piani sono stati messi in opera, disciplinatamente seguiti dal personale e più volte controllati dalla polizia. Inoltre, il personale di sorveglianza, sempre presente, è stato istruito ad intervenire nel caso gli ospiti delle strutture non avessero rispettato le regole, chiaramente esposte su grandi cartelloni alle entrate e ben descritte sui vari nostri siti internet. Di fatto, ciò è stato necessario in rari casi”.
E ancora: “Solo per quanto concerne la parte pubblica del LidoLocarno, per il personale, gli utenti delle piscine e della palestra fitness, i costi dei piani di protezione ammontano sinora a ben oltre 30'000.- Fr. ed altrettanti sono certamente stati investiti dai nostri Partners della Termali&Salini e del ristorante BLU. Malgrado non avessimo riscontrato dalla riapertura dopo il “lockdown” alcun problema e non ci sia stato segnalato alcun contagio contratto nei nostri luoghi e malgrado il nostro impegno, ci siamo visti costretti ad