Ticino, 16 novembre 2020

Medici di famiglia: “Ci sentiamo abbandonati”

*Articolo dal Mattino della Domenica. Di Mabo

Abbiamo incontrato 4 medici di famiglia. Dottori che, come molti altri ne siamo sicuri, mettono anima e corpo nel loro lavoro e sono dotati di un’empatia fuori dal comune. “Noi ci siamo sentiti un po’ abbandonati dai vari enti ospedalieri”, ci dicono all’unisono. “Avevamo molto tempo per aiutare, per metterci a disposizione. Lo abbiamo chiesto più volte, con forza, ma mai nessuno ci ha chiamato”. Durante il lockdown di primavera, infatti, anche la loro categoria ha subito una battuta di arresto: “Molti pazienti non se la sentivano di venire in studio, lo capiamo benissimo, anche perché i protocolli emanati dal medico cantonale erano chiarissimi”.
 

Meno chiaro è stato il perché non “utilizzare” del personale super-formato da parte di alcuni Enti ospedalieri o cliniche. “Dicono che hanno fatto fatica a reperire personale per le cure intensive. Alcuni di noi sono stati chirurghi, altri hanno pure lavorato all’interno degli ospedali proprio in quei reparti così delicati: non ci hanno interpellato. Per noi è una missione, non è questione di soldi. Poi, arrivare in studio e trovarlo a volte vuoto è stato veramente umiliante”.
 

Rimborsi: “Secondo noi non è corretto”
 

Parliamo anche con loro riportando le risposte del Direttor Pellanda: “ Secondo noi chiedere un rimborso in questo momento non è corretto. Le operazioni non urgenti verranno sicuramente eseguite. Inoltre, lo dice la parola stessa “non urgente”, può significare anche superfluo. Mi dispiace dirlo, ma secondo la nostra

esperienza abbiamo visto utilizzare troppo facilmente il bisturi. Invece di convincere il paziente a chiedere un secondo consenso (cosa che consigliamo sempre di fare) si dice “operiamo!”. Non è così che andrebbe fatto il lavoro. Il nostro lavoro è importante, dobbiamo ricordarcelo: prima viene la salute del paziente, i soldi sono l’ultimo dei pensieri che un medico deve avere nella testa”.
 

Vediamo un po’ di amarezza negli occhi di questi dottori. Una tristezza che è lampante, perché loro non vedono un paziente come un numero: “Per me – ci toglie ogni dubbio uno di loro – un paziente diventa un famigliare. Manderei mai un parente a farsi aprire in una sala operatoria inutilmente? Ve lo dico subito: mai! Dunque, è inutile chiedere un rimborso per le operazioni rimandate: i soldi usciti dalla finestra aperta a primavera, rientreranno dalla porta a breve”.
 

“Un lockdown non ci metterebbe in ginocchio”
 

Sono sinceri i nostri interlocutori. Non si nascondono dietro il loro camice bianco. “Non vogliamo sembrare degli arrivisti, o passare per dei poverini. Non siamo spaventati dalla situazione economica che potrebbe colpirci. Un secondo 'Stop' non ci metterebbe in ginocchio. Vogliamo solo essere presi in considerazione dai vari ospedali o cliniche: noi ci siamo per voi, lottiamo insieme durante questo delicatissimo periodo. Uniti ce la faremo, indicava uno slogan lanciato dal Governo. Bene, noi lo gridiamo a gran voce “uniti ce la faremo, vogliamo aiutare anche noi!”.

*Edizione del 15 novembre 2020

 

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