Opinioni, 19 settembre 2020

28 anni di paure di fronte all'Unione europea

E' trascorso quasi un trentennio da quella famosa votazione per l'entrata nello Spazio economico europeo (SEE) ed è da un trentennio che sentiamo sempre la solita solfa in salsa catastrofista per non aver aderito allo SEE (che presto o tardi ci avrebbe fatto finire nell’Unione Europea). Più tardi la Svizzera ha sottoscritto una fila di pacchetti bilaterali, tra cui il primo e il più delicato sulla libera circolazione delle persone, che nel tempo ci ha creato un sacco di danni, specie nei Cantoni di frontiera.

Ebbene, dopo diversi tentativi di mettere un pò d'ordine in casa - tra cui l'importante iniziativa popolare del febbraio 2014 contro l'immigrazione di massa che il popolo ha accolto e che il Governo federale, con l’appoggio di quasi tutti i partiti, salvo l’UDC, ha in seguito manipolato, bistrattato e annacquato - ci ritroviamo il prossimo settembre a votare una nuova proposta per "limitare" un'invasione di massa da parte di un bacino europeo di milioni di potenziali lavoratrici e lavoratori.

Come già nel 1992 e nel 2014, ci troviamo davanti agli stessi appelli di chi è contrario alla limitazione della circolazione delle persone e non promuove la salvaguardia del mercato del lavoro interno, dicendo che il nostro paese affonderà se si accetta la limitazione dell’immigrazione. Ma la verità è che in questi 28 anni, dal famoso 6 dicembre 1992, queste catastrofi e incertezze non si sono mai avverate. Anzi, il nostro Paese ha saputo reagire, adattarsi e raggiungere gli obiettivi competitivi sul mercato del lavoro, nello sviluppo e nella tecnologia di punta. Anche in altri settori economici la Svizzera si è fatta valere in tutti questi anni e il nostro paese è riuscito sempre ad essere uno dei primi nelle classifiche internazionali in campo economico, manifatturiero e imprenditoriale, contro ogni voce di malaugurio del 1992.

Oggi la retorica incentrata sulle aziende dislocate all’estero e sulla
disoccupazione a due cifre è resuscitata. Il comitato interpartitico ticinese, contrario alla nostra iniziativa insieme a quasi tutti i partiti svizzeri e ambienti economici, vuol far credere che un SI popolare avrebbe delle conseguenze nefaste per la Confederazione elvetica simili allo schianto di un meteorite di vaste proporzioni sulla terra, e conseguente estinzione di massa. Ma non sembra che la Gran Bretagna, covid-19 a parte, sia sprofondata negli abissi e scomparsa dalla faccia della terra, dopo la decisione di uscire dal Club unionista.

I contrari all’iniziativa dipingono un quadro scoraggiante per spaventare l'elettorato. In questi 28 anni abbiamo continuato a distinguerci come Paese dinamico e creato benessere per il popolo. Una cosa però va detta: abbiamo parzialmente mancato di incoraggiare, formare e preparare professionalmente al meglio la nostra popolazione attiva a supporto della produzione lavorativa interna. Al contrario, abbiamo iniziato a mercanteggiare salari bassi per favorire i bilanci aziendali, favorendo l'assunzione di personale dall'estero. Oggi ci troviamo spesso davanti ad una popolazione che qui vive, spende e paga le tasse ma che si trova in disoccupazione o in assistenza, mentre al suo posto viene impiegato personale da mezza Europa con salari agli standard europei. I costi della vita però in Svizzera non scendono e come mai?

Ai lavoratori stranieri non rimprovero nulla: è lecito cercare una soluzione ottimale per la propria situazione, ci mancherebbe, ma come politici dobbiamo pensare ai nostri concittadini per offrire loro, in casa nostra, le stesse opportunità. Perché nessuno lo farebbe al posto nostro all'estero, per il semplice motivo che gli altri Paesi, senza troppa pubblicità, hanno forme di protezionismo del mercato interno del lavoro che noi ci sogniamo. Basti fare un concorso pubblico in Italia per esempio o un concorso d’appalto con una società svizzera.

Tiziano Galeazzi
Deputato UDC

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