Sport, 02 dicembre 2019

Caro Köbi, il tuo sorriso dolce e bonario ci mancherà

Se avesse potuto leggere i “coccodrilli” a lui dedicati da giornalisti che copiano le belle frasi e le citazioni da Wikipedia, Köbi Kuhn avrebbe certamente sorriso. Elogi come “eroe”, “leggenda” o quant’altro, l’avrebbero persin divertito, lui che è sempre stato un “anti” per eccellenza. Anti eroe appunto, anti leggenda (eccome!), semplice, bonario e diretto qual era, figlio della gente del popolo, quella che suda dalle sei del mattino sino a notte, che non si tira indietro, non alza mai la schiena e non si lamenta mai. Eroe, in verità, Kuhn non lo è mai stato: gli eroi sono quelli che vanno in guerra a combattere per la patria o per un’idea. Nel calcio non ci sono eroi, semmai protagonisti o campioni. Gli eroi, lo diceva lui stesso, sono quelli che tirano avanti una famiglia senza un soldo e con tanta fatica.
Lui era semplicemente un artigiano (dai piedi vellutati) della palla.

Un ambasciatore di uno sport che in Svizzera è cresciuto in modo esponenziale grazie soprattutto a lui ed altri interpreti ed è finalmente uscito dall’apatia e dall’anonimato. Leggenda, una parola al pronunciar della quale scrollava la testa: no, Köbi era umile, umano, con pregi e difetti come tutti (memorabile, a proposito, la sua fuga con altri due compagni rossocrociati dal ritiro di Sheffield nel 1966!); sapeva molto della vita, anche se questa non gli aveva regalato nulla, anzi, gli aveva tolto molto. A cominciare dagli abusi subiti da ragazzo e dei quali racconterà in una biografia; eppoi la lunga malattia della dolce e amata Alice, la moglie colpita da epilessia nel 2008, poco prima degli Europei di casa. E infine, la tragedia più grande, la tragedia della propria figlia, morta di overdose.

La vita non gli ha mai regalato niente, si diceva. “Ho sempre guardato la realtà in faccia senza impaurirmi. Se non l’affronti così sei morto” ebbe a dire in una lunga e toccante intervista concessa alla SRG dopo gli Europei del 2008. Ed è stata questa la filosofia che lo ha accompagnato negli anni in cui è stato commissario tecnico elvetico, anni di vittorie, di grandi successi ma anche di delusioni e di sofferenze. Che il Köbi nazionale ha saputo affrontare col sorriso sulle labbra nonostante le pesanti critiche che gli sono piovute addosso, in particolare sul finire di carriera quando, scosso dai drammi personali, ha cominciato a dare segni di stanchezza. E i detrattori sono gli stessi che oggi criticano Vladimir Petkovic, che ora piangono l’ex CT e che non
si sono fatti problemi a pubblicarne una foto in ospedale in cui sorride ma con la faccia sofferente di chi sta lottando per la vita.

Ci mancherà Köbi Kuhn, che spesso ci ha ricordato, con le sue parole semplici, che il calcio “è importante ma non è tutto”, che il calcio è arte (lui era un giocatore di talento e verve), bellezza e divertimento. Kuhn non si divertirebbe nel calcio odierno, rozzo, fisico e muscolare. Con l’amico e rivale Odermatt e il ticinese Rolf Blättler costituì all’epoca un centrocampo che gli stessi italiani ci invidiavano. Erano altri tempi e la nostra Nazionale, pur essendo ricca di grandi talenti, non aveva quello oggi si direbbe “il sacro fuoco, la mentalità vincente”. La stessa che ha permesso alla nazionale di Köbi di qualificarsi agli Europei del 2004 in Portogallo e ai Mondiali del 2006 in Germania. In quegli anni Köbi compì un altro capolavoro: riavvicinò la gente alla nostra massima rappresentativa. Il suo modo di proporsi, la sua sincerità (evocata da Mauro Lustrinelli nei giorni scorsi) e la sua correttezza avevano riacceso quell’entusiasmo che non si vedeva dagli Anni Cinquanta, quando i tifosi gremivano gli stadi e i cinematografici per assistere alle partite della Nazionale.

La sua forza era il contatto con la gente: anche per questo gli sono stati perdonati errori di interpretazione o di lettura delle partite che ad altri sarebbero stati imputati senza troppe remore. Immaginatevi cosa sarebbe successo a Petkovic…Kuhn era il volto pulito del popolo. Come scrisse una volta un autorevole giornalista romando: “Se entri nel cuore della gente, sei immune da tutto. Köbi lo era”. A Zurigo, intanto, i vecchi tifosi ricordano con le lacrime agli occhi le imprese dello squadrone di Nägeli e del loro Köbi: sei titoli nazionali e cinque Coppe Svizzere. E pure due semifinali di Coppa dei Campioni contro il Real Madrid (1964) e contro il Liverpool (1977). Due “leggende” (tanto per restare in tema) del calcio internazionale.

PS: Abbiamo avuto l’onore di conoscere Kuhn durante il campo d’allenamento prima di Svizzera-Eire del 2003 decisiva per la qualificazione agli Europei del 2004. E in quell’occasone lo avevamo chiamato Mister, suscitando la sua ilarità. Ci rispose con un sorriso che manifestava un certo imbarazzo. Eroe no, leggendario neppure, insomma: ma umano, tremendamente umano sì! Grazie per essere esistito, Köbi.

A.M.

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