Ticino, 28 novembre 2019

La storia di un ticinese: "Lavoro, casa famiglia. Ho perso tutto e ora sono povero"

*Dal Mattino della Domenica. Di Arno Lupi

Giuliano (nome completo conosciuto alla redazione) non sa più dove sbattere la testa. “Ho perso tutto, lavoro, casa, famiglia: non sono cosa fare. Ho chiesto aiuto a tante persone e allo Stato e forse mi daranno l’assistenza”. Ma, dice, non è questo il punto: “Trovo desolante che oggi giorno non ci sia più umanità: ho sempre fatto ciò che mi è stato chiesto, sono stato un serio professionista, un buon padre e un buon marito ma ora mi trovo con un pugno di mosche in mano. Nessuno mi vuole aiutare”.
 

Il nostro interlocutore racconta una storia molto simile a quelle che il Mattino della Domenica ha pubblicato negli ultimi mesi. Tempo fa c’era stato il grido d’allarme di un sessantenne che aveva perso l’impiego ed era sulla soglia della povertà. Prim’ancora avevamo raccolto la richiesta d’aiuto di un signore del Mendrisiotto il quale era rimasto senza lavoro e lo Stato per via di un presunto immobile in Italia (in realtà, secondo lui, inesistente) gli aveva rifiutato un aiuto.

Insomma:ogni settimana ci sono nuove drammatiche situazioni che vengono a galla in modo sconcertante. Una conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che il nostro cantone o più in generale la Svizzera, non è più il “ paradiso terrestre” di un tempo. Sì, perché ad essere toccati (eccome!) sono gli indigeni e i residenti. Una povertà che esce alla luce malgrado ci sia ancora qualcuno che afferma “che si tratta di situazioni isolate”.

Il problema evocato da Giuliano è certamente grave: in poco tempo ha perso tutto. “Lavoravo in una ditta in Leventina e improvvisamente un giorno mi ha lasciato a casa per una… ristrutturazione aziendale. Dopo 15 anni di onorata professione. All’improvviso mi è crollato il mondo addosso. Con mia moglie il clima, che non era già dei migliori prima, si è fatto sempre più pesante ed un giorno si è presa i miei figli e se n’è andata

dalla madre. Poi, visto che non riuscivo più a pagare le rate della casa, la banca me l’ha portata via. In poche parole: sono rimasto in brache di tela”.
 

A questo punto ha chiesto aiuto alloStato, dopo l’anno e mezzo di disoccupazione.“Non volevo proprio andare in assistenza. Ho cercato di tutto per trovare un lavoro. Ho fatto dei corsi, ho provato ad emigrare anche nella Svizzera Interna. Ma nulla. Promesse tante, mai mantenute. Ad un certo punto mi sono arreso: l’ufficio sociale mi ha trovato un appartamento, paga la mia cassa malati e le mie prime necessità. Immaginate che umiliazione! E nel frattempo mia moglie si è trovata un altro uomo…”
 

Ma Giuliano punta il dito accusatore sulla società in generale. “Al di là del fatto che ho perso tutto, in questa fase delicatissima della mia vita ho purtroppo notato come non ci sia più umanità fra le persone. Il nostro mondo ha ormai bandito la parola “aiutare”. Non ho chiesto soldi né altro, soltanto la collaborazione per trovare un lavoro e recuperare la mia famiglia. Nessuno ha raccolto il mio grido d’allarme. Come se fossi una persona fastidiosa, come se fossi un reietto. Avevo degli amici e tutti mi hanno abbandonato, dei miei parenti nemmeno l’ombra. Forse qualcuno penserà che mi sono comportato male, e invece non è proprio così. La verità è che la società odierna è fatto di egoismo e di individualismo. Ognuno pensa per sè!”
 

E alla fine il nostro interlocutore ha dovuto rivolgersi gioco forza allo Stato.“Era un passo obbligatorio. Altrimenti sarei finito sulla strada. Ho sempre criticato chi si rivolgeva all’Ufficio del sostegno sociale, perché pensavo che ognuno deve farcela con i propri mezzi e i propri sforzi. E invece sono finito anch’io in quella spirale ed uscirne non sarà facile. Adesso sono in cura anche da uno psicologo”.

*Edizione del 24 novembre 2019


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