Svizzera, 29 giugno 2018

"Hopp Albania! Il calcio ci rende ciechi"

È venuto dal fondo dell'anima, direttamente dal cuore. Appena gli internazionali svizzeri Xhaka e Shaqiri avevano segnato i loro gloriosi gol contro il loro nemico eredetiario Serbia che incrociavano le mani per formare la mitica aquila bicefala, emblema nazionale di tutti gli albanesi e simbolo eraldico di un appartenenza tribale indelebile. In questo momento storico, prima di tutto veniva quel simbolo trionfale che stava a segnalare l'umiliazione degli odiati serbi. Gli albanesi, vestiti con la maglia svizzera, hanno preso la loro rivincita per tutte le ingiustizie subite nel corso delle infinite guerre balcaniche. Di colpo sport e politica si sono intrecciati.

No, non era un saluto inoffensivo verso la famiglia rimasta in Kosovo come ha cercato di far credere la federazione svizzera superata dagli eventi. È stata la continuazione della guerra fratricida iugoslava sotto la bandiera svizzera. Si era già vista una cosa simile? Dopo i gol, Xhaka e Shaqiri si sono lanciati, gli occhi brillanti dal testosterone, sotto la curva dei tifosi serbi facendo il segno dell'aquila bicefala. Sembrava di vedere la scena di una battaglia medievale come quelle di "Braveheart", appena prima che gli scozzesi con il viso pitturato caricassero gli inglesi. Indipendentemente da quel che è successo, questo non aveva niente a che vedere con il calcio e con la Svizzera.

O forse si? Le scene di Kaliningrad non sono proprio un simbolo perfetto? La politica migratoria delle frontiere aperte ha portato la Svizzera a importare sistematicamente i conflitti dei gruppi etnici immigrati. A Berna, turchi e curdi si picchiano con spranghe di ferro, a Zurigo non si fanno mancare le risse tra tamil, gli arabi importano la jihad. L'aquila a due teste ci ricorda soltanto dell'atavica e mai sopita ostilità tra albanesi e serbi. Il capitano della nazionale Liechtsteiner ci ha messo la classica beffa sul danno umiliandosi da solo solidarizzando con le aquile albanesi.

Che spettacolo! Non sono gli albanesi che si integrano agli svizzeri, ma sono gli svizzeri che si integrano agli albanesi. È interessante vedere come tutti adesso cercano di minimizzare l'incidente. Ovviamente si è realizzato che nella partita con la Serbia è stata superata una linea rossa. Qualche cosa si è rotto. Per un tifoso di calcio, non vi è insulto più grave che vedere un giocatore della propria nazionale infilare la maglia di un'altra nazione nel momento di maggiore trionfo, quando si è segnato il gol. Hopp Albania! È come, come ha commentato qualcuno su Facebook, se tua moglia urlasse il nome di qualcun altro nel momento in cui fate sesso e lei ha un orgasmo. Il fatto che Xhaka, autore di un gol glorioso, abbia dedicato l'importante vittoria alla sua patria, il Kosovo, e non alla Svizzera che ha accolto lui e la sua famiglia come rifugiati e ha reso possibile la sua carriera calcistica, non ha aiutato la situazione.

Nel corso di questa memorabile serata calcistica a Kaliningrad, qualcosa ha fatto superficie che molti svizzeri sentono ma che hanno reticenza ad ammettere, e adesso ancora meno, sotto pena di far evaporare l'euforia di questa fantastica Coppa del mondo. Molti hanno il sentimento che la Svizzera si sia fatta fregare dall'immigrazione e dai rifugiati, che molti stranieri che sono venuti qui lo hanno fatto principalmente per profitto personale, ma che in cambio mostrano sorprendentemente poca gratitudine. Ed è qui che duole il dente. L'aquila bicefala dimostra che è falsa
la fiaba che ai politici piace raccontare, ossia che gli immigrati sarebbero perfettamente integrati, e che anzi lo sport sia uno degli strumenti più efficaci per riuscire questa integrazione. L'integrazione non è che una coltre di vernice superficiale. Mostrarsi svizzero non significa per forza di cose essere svizzero.

Che cos'è uno svizzero? Cos'è che rende qualcuno uno svizzero? Il pensiero dominante considera ormai questa domanda come indecente. La risposta è semplice: chiunque abbia acquisito la cittadinanza svizzera e si dica svizzero è svizzero. È così che lo definiva il grande scrittore liberalradicale Gottfried Keller. Dopo il caso delle aquile bicefale rimane senza risposta la domanda se i calciatori legionari albano-svizzero si identificano veramente al paese per cui giocano. La questione non esprime xenofobia, ma bensì una reazione naturale di alienazione che dovrebbero avere anche coloro che si sforzano di soffocare il dibattito.

Se le federazioni di calcio prendessero sul serio i propri valori fondamentali e i propri statuti, non avrebbero dovuto sanzionare i 3 giocatori solamente con una multa, ma sospenderli. È evidente. La federazione svizzera di calcio vieta "qualsiasi discriminazione contro gruppi di persone" fondato "sull'origine etnica" o "politica". Essa esige addirittura la "neutralità dei giocatori" negli articoli dei suoi statuti. La FIFA si oppone a manifestazioni politiche e azioni che provocano il pubblico. Ma è esattamente ciò che hanno potuto fare i provocatori albanesi con la loro aquila bicefala, praticamente senza sanzione. Le brochures politicamente corrette della FIFA con cui quest'ultima manifesta la sua lotta al "razzismo e alla discriminazione" non valgono la carta su cui sono stampate.

Anche i politici riescono a inciampare in tutto questo delirio a due teste, con i principi che vengono gettati al vento. Il ministro degli esteri Ignazio Cassis, ricevendo il suo omologo kosovaro poche ore prima della partita, ha scritto su twitter, con troppa leggerezza, che sperava che i "nostri giocatori kosovari" quella sera aiutassero la "Nati" a vincere contro la Serbia. Addirittura dopo le prodezze nazionaliste di Xhaka e Co. durante la partita, Cassis ha preso le difese della squadra svizzera, allo stesso modo del ministro dello sport Guy Parmelin. I Consiglieri federali coprono i giocatori svizzeri del Kosovo che fanno politica estera contro la Serbia portando la croce svizzera. 

Davvero non capiscono cosa c'è in gioco? La Svizzera ha delle truppe militari in Kosovo, dove il loro compito è di evitare lo scoppio di una nuova guerra civile tra serbi e albanesi. La più stretta neutralità all'incontro delle due parti è imperativa. Xhaka e Shaqiri hanno un migliore istinto politico dei due Consiglieri federali che esultano contro la Serbia. Hopp Albania! Il calcio rende ciechi. L'importante, è che la propria squadra vinca e le star segnino dei gol.

Roger Köppel / Die Welwoche (articolo tradotto), foto: lesobservateurs.ch

 

 

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