GINEVRA - Nel corso di una recente sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, la Svizzera ha scelto di richiamare pubblicamente l’India sulla tutela delle minoranze, invitando Nuova Delhi a “fare di più” in materia di libertà di espressione e protezione dei diritti fondamentali. Un intervento che, più che rafforzare il ruolo diplomatico elvetico, ha aperto un fronte inutile con una delle principali potenze mondiali.
La reazione indiana non si è fatta attendere ed è stata durissima. Il delegato di Nuova Delhi ha definito le osservazioni svizzere «sorprendenti, superficiali e poco informate», ribaltando l’accusa e invitando Berna a concentrarsi piuttosto su problemi interni come razzismo, discriminazione e xenofobia. Una risposta che ha messo in evidenza tutta la fragilità dell’attacco svizzero.
Colpisce soprattutto la leggerezza con cui un diplomatico elvetico ha deciso di impartire lezioni a un Paese di oltre un miliardo di abitanti, democrazia complessa, potenza economica emergente e attore geopolitico centrale. Pensare che una simile reprimenda pubblica potesse produrre effetti positivi appare quantomeno ingenuo, se non politicamente miope.
La Svizzera, tradizionalmente apprezzata per il suo equilibrio e la sua prudenza diplomatica, rischia così di compromettere relazioni strategiche per un intervento mal calibrato e poco realistico. In un contesto internazionale sempre più teso, la diplomazia richiederebbe misura e intelligenza strategica.





