Egregio signor Presidente,
gentili signore deputate, egregi signori deputati,
I firmatari della presente petizione chiedono al Parlamento di introdurre nella Legge sulla scuola un articolo che vieti l’ostentazione di vistosi simboli di carattere religioso (copricapi, capi di abbigliamento o altro) da parte degli/delle insegnanti durante le lezioni in aula, alfine di salvaguardare la neutralità confessionale dell’insegnamento, prevedendo delle eccezioni per gioielli di formato discreto (catenine, collane, spille, anelli, orecchini) che abbiano qualche riferimento con una religione (ad esempio croci, la Madonna, i santi, la stella di Davide, la mezzaluna, ecc.). Inoltre dovrebbero essere vietati anche capi di abbigliamento e simboli di carattere politico.
Motivazioni
Negli scorsi mesi il Comune sangallese di Eschenbach, dopo aver assunto per le scuole elementari una docente tedesca che indossava il velo islamico, aveva poi dovuto fare retromarcia e rinunciare all’assunzione a seguito delle proteste di alcuni genitori che erano insorti invocando il principio della laicità e della neutralità confessionale dell’insegnamento.
La stampa nazionale aveva dato ampio risalto a questa notizia, evidenziando il fatto che in questo campo la competenza è cantonale, in nome del federalismo nel settore della formazione. Ad esempio nel Canton Ginevra vi è un divieto dei simboli religiosi a scuola (grazie al quale il Tribunale federale ha potuto respingere un ricorso presentato da una docente velata), mentre nel Canton San Gallo non vi è alcun divieto del genere, e se è stato possibile revocare l’assunzione della docente velata è solo perché la stessa ha accettato la decisione rinunciando a contestarla.
A questa vicenda il TG della RSI aveva dedicato un servizio nell’edizione del 25 luglio scorso, da cui era emerso che la mancanza di una base legale che disciplini in modo chiaro questa materia è criticata sia dai direttori delle scuole svizzere e sia dall’Associazione degli insegnanti svizzeri, i quali chiedono leggi e direttive più chiare. Il vicepresidente di questa associazione, Christian Hugi, ha dichiarato che le scuole sono vincolate alla neutralità confessionale, e per gli insegnanti ciò significa che durante le lezioni devono rinunciare a indossare simboli religiosi. La Conferenza dei direttori cantonali dell’educazione, dal canto suo, ha comunicato di non avere regolamenti specifici sull’uso dei simboli religiosi in aula “perché ogni Cantone è competente in materia ed è libero di decidere come meglio crede nel rispetto della Costituzione e della neutralità religiosa dell’insegnamento”. Il servizio televisivo si concludeva con questo commento: “La scuola insomma vuole che la politica, su questo tema, faccia i suoi compiti”. Ed è proprio ciò che chiede questa petizione.
Il velo islamico
Va ricordato che l’art. 2 cpv 2 lett d della Legge sulla scuola recita che la scuola “promuove il principio di parità tra uomo e donna (…)”. E’evidente che il velo islamico, simbolo politico-religioso della sottomissione della donna all’uomo, è in netto contrasto con questo principio. La necessità di introdurre una chiara regolamentazione su questa materia è dovuta alla crescente diffusione del velo islamico, utilizzato in tutta Europa dai movimenti islamici più radicali (in particolare dai Fratelli Musulmani, ben presenti anche in Ticino) per marcare l’avanzata dell’islam, per islamizzare l’ambiente e per fare proselitismo religioso infiltrandosi in tutti i settori, soprattutto fra i giovani.
A tal proposito ecco alcuni pareri espressi da musulmani o ex-musulmani che dovrebbero far riflettere sulla necessità di impedire una diffusione del velo islamico fra le insegnanti soprattutto nelle scuole dell’obbligo, frequentate da minorenni facilmente influenzabili.
In un’intervista pubblicata l’8.7.2019 sul sito http://ilguastafeste.ch/intervistaamagdiallam.pdf, il grande esperto di Islam italo-egiziano, Magdi Allam, aveva detto: “Quando gli islamici vogliono occupare un territorio e sottomettere la popolazione all’Islam, la prima cosa che fanno è imporre alle donne di indossare il velo. Di fatto il velo è il simbolo più manifesto della sottomissione all’Islam e della presenza di una strategia di islamizzazione. Pertanto difendere il velo islamico e legittimarne l’uso significa favorire l’islamizzazione e in prospettiva la propria sottomissione all’Islam”.
La musulmana tunisina Saïda Keller-Messahli vive da diversi anni a Zurigo, dove ha fondato il Forum per un Islam progressista. Questa coraggiosa donna, vincitrice nel 2016 del Premio svizzero per i diritti umani, ha pubblicato nel 2017 un libro (“La Suisse, plaque tournante de l’islamisme”) nel quale denunciava la crescente diffusione dei fanatici islamisti nelle moschee svizzere e accusava i politici non solo di aver sottovalutato troppo a lungo lo sviluppo dell’islamismo, ma di averlo deliberatamente ignorato. A proposito del velo islamico aveva scritto: “Tutti i tipi di dissimulazione della donna sono la bandiera dell’Islam politico, che si tratti del foulard, del niqab o del burqa. Questo stendardo rende visibile nello spazio pubblico la progressione dell’islamismo (…) Si deve impedire ogni forma di dissimulazione della donna musulmana, perché essa non rappresenta una prescrizione religiosa ma un imperativo politico degli islamisti”. E ancora: “Tutti i tipi di veli promossi nell’Islam sono inaccettabili perché propagano l’idea discriminatoria che il corpo della donna è indecente ed è una fonte di peccato per l’uomo”.
In un’intervista rilasciata al Cdt il 5 giugno 2018 (titolo: “C’è un piano degli islamisti per conquistare l’Europa”), il grande scrittore musulmano algerino Boualem Sansal, imprigionato nel 2024 dal Governo algerino e condannato a 5 anni di prigione per motivi pretestuosi, ha spiegato quali sono le strategie usate dagli islamisti per indottrinare e convertire gli “infedeli”. Fra queste vi è quella di islamizzare l’ambiente, ad esempio facendo circolare le donne velate, perché in tal modo, a forza di abituarsi alla loro presenza e di vivere in un ambiente islamico, i bambini crescono e diventano musulmani credendosi nativi di questi valori, spianando così la strada all’avanzata dell’Islam nel giro di qualche generazione. L’81 enne scrittore sa di cosa parla perché ha vissuto in prima persona la reislamizzazione fatta in Algeria ad opera dei “Fratelli musulmani” dopo la guerra di indipendenza dalla Francia (1954-1962), e ha vissuto gli orrori della sanguinosa guerra civile svoltasi dal 1992 al 2002, quando molte donne vennero uccise dagli islamisti perché si rifiutavano di indossare il velo.
Con ogni ossequio Giorgio Ghiringhelli (primo firmatario)






