PARIGI (Francia) – Non si è recato a Marsiglia, a seguire da infortunato il suo PSG, perché aveva un appuntamento con la storia: Ousmane Dembélé ieri ha alzato al cielo il suo primo Pallone d’Oro, a completamento di una stagione assurda, che da gennaio in poi è svoltata in maniera clamorosa, fatta di gol, di assist, di sgroppate, di accelerazioni e di giocate sublimi che lo hanno meritatamente portato a vincere il trofeo.
Già meritatamente, anche se le qualità di Dembélé erano già note quando difendeva i colori del Dortmund e del Barcellona, ma nell’ultimo anno a fare la differenza è stata la testa, la maturità del 28enne, capace di mettersi la squadra allenata da Luis Enrique sulle spalle e portarla a vincere tutto, eccezion fatta per il Mondiale per Club perso in finale. Meritatamente, dicevamo… già perché nelle ultime edizioni erano state più le polemiche che i complimenti.
L’anno scorso, ad esempio, a trionfare era stato Rodri e a lamentarsi – tanto da non presenziare neanche alla premiazione – Vinicius e il Real che, a giusta ragione, volevano veder premiata la grande stagione del brasiliano, che aveva trascinato le Merengues sul tetto d’Europa. Due anni fa, ad alzare per l’ottava volta il trofeo, era stato Messi, mentre al secondo posto si era piazzato quell’Haaland autore di una miriade di reti e fresco vincitore della Champions League col City.
Questa volta no. Questa volta non ci sono state polemiche neanche da parte del secondo classificato, quel Lamine Yamal che sicuramente avrà tempo e modo di segnare un’altra epoca incredibile del gioco del calcio. E la Svizzera? I nostri colori sono stati egregiamente difesi da Sommer che si è piazzato tra i migliori 5 portieri, battuto da un Donnarumma trascendentale in questo anno solare.