«All’epoca la ammiravo. Pensavo: è tutto quello che vorrei essere». Così inizia il racconto della stessa ex attivista che intervistò Greta Thunberg nel 2018. Allora, dice, era totalmente dentro la narrazione: «Facevo reportage sul cambiamento climatico, promuovevo l’attivismo, ero convinta che ogni piccolo gesto contasse. E Greta era il modello perfetto: niente aerei, alimentazione vegana, rinunce quotidiane. Una missionaria del clima».
Ma col passare del tempo, qualcosa è cambiato. «Quelle scelte oggi mi sembrano simboliche, quasi superficiali. Un’estetica della colpa che però non tocca i veri nodi del problema: le logiche di potere, l’economia globale, le lobby. Il movimento ha creato rituali più che soluzioni. E una giovane è diventata la sua icona sacra».
La reporter ha intervistato Greta una seconda volta, dopo la pandemia, per un evento online. «Era molto più professionale, quasi istituzionale. Pare che l’intervento fosse a pagamento, intorno ai 25mila dollari. Nulla di illegittimo, ma è evidente che oggi Greta è diventata un personaggio consolidato, parte di un sistema che prima criticava».
Infine, la questione politica. «La sua visita a Gaza è un salto di qualità. Un atto politico estremo, che segna un passaggio: Greta oggi non è più solo un simbolo ecologista, ma una militante con una visione ideologica molto precisa. Vede l’Occidente come il nemico, l’impero da combattere. Una visione semplicistica, pericolosa, che rischia di ridurre questioni complesse in una narrazione manichea. Ma se c’è una cosa che le riconosco ancora, è che ci crede davvero. È una vera credente. Noi, al massimo, possiamo limitarci a osservare».
Fonte @lucybiggers - parte 2