Sport, 29 ottobre 2024

“L’uomo solo al comando nel calcio non funziona più”

Chiacchierata a ruota libera con l’ex presidente bianconero Angelo Renzetti

LUGANO - Come direbbe lui, Angelo Renzetti è sempre sul pezzo. Disponibile, sempre aggiornatissimo, mai banale, conferma anche in questa chiacchierata a360 gradi, la sua passione per il calcio e, anche, per la vita. Di stanza a Pescara, la sua città di origine, Angelo lancia uno sguardo dalla sua posizione privilegiata sulle vicende calcistiche nostrane: dai bianconeri, al Bellinzona per finire col Paradiso. Con un accenno ad un altro presidente rivoluzionario, Geo Mantegazza. 


Presidente: allora, come si vive la pensione calcistica?
Non so cosa sia la pensione calcistica, nel senso che per tutta la vita, in modi, forme e tempi diversi ho dato libero sfogo alla mia passione per questo sport. Giunto a questo punto dell’esistenza e riguardando al passato mi sono accorto di aver fatto cose che non avrei mai immaginato di poter fare ma che mi sono costate moltissimo sotto vari punti di vista. Oggi vedo le situazioni in modo staccato ma lucido e i giudizi o le affermazioni che faccio non sono mai contro le persone; sono stato tra coloro che hanno dato tanto, spinto dalla passione e so cosa significhi. Ho rispetto verso chi si adopera per la causa calcistica ma la mia attuale posizione e l’esperienza acquisita in decenni mi permettono di vedere le cose in modo più pragmatico. Giudico più lucidamente l’ambiente, le persone che vi si muovono, il contesto territoriale e sociale. Il calcio è rimasto un bellissimo sport che può dare emozioni ma attorno la situazione è degenerata. Tanta gente cerca solo visibilità o facili guadagni e non è facile, dall’interno, analizzare in modo lineare quanto accade. 


Ogni tanto la vediamo in TV o sui giornali: Angelo Renzetti fa sempre opinione e quindi è normale che si rivolgano a lei per commentare ciò che succede nel giro del calcio… 
Essere ancora coinvolto fa anche piacere per i motivi che ho espresso prima. Poi fornire la mia esperienza diretta e dare una lettura degli eventi su questa base. Ho la sensazione di poter garantire un contributo intellettualmente onesto, senza interessi di bottega, pur continuando a portare avanti le mie visioni di principio.


Può dire due parole su Geo Mantegazza, presidentissimo del HC Lugano? 
E’ un bel discorso. Trovo riduttivo ridurre Geo solo alla figura del mecenate, lui è stato molto di più. Ha dato nuovi impulsi e idee, ha avuto visioni rivoluzionarie e ha messo al servizio dello sport la sua attitudine e lungimiranza imprenditoriale, non solo la sua generosità. Aveva grandi valori e si è messo a disposizione della collettività quando avrebbe potuto godersi in proprio la sua ricchezza. Quelle poche volte che ho avuto la fortuna di parlargli ne uscivo sempre con soddisfazione e stimoli. 


Geo Mantegazza fu uno degli ultimi presidenti- mecenati... Una razza in via di estinzione...
Più che una razza che si sta estinguendo siamo di fronte a un modello di gestione non sano. I tempi mutano e l’uomo solo al comando non è più sostenibile né giustificabile. Per scherzare faccio spesso la metafora dello shopping assieme a mia moglie. Lei esce contenta dal negozio, festeggia la commessa, mostra orgogliosa gli acquisti alle amiche e l’unico che pare lì per caso è colui che paga. Nel calcio succede la stessa cosa: sono in tanti a darsi pacche sulle spalle, a mettersi in mostra (quando le cose vanno bene) e a gioire, ma alla cassa a preoccuparsi di fare gli stipendi a fine mese c’è sempre il solito, solo e abbandonato: non è un modello sano. 


Lei in quale categoria di presidente si collocherebbe?
Nella categoria dei Don Chisciotte, uomini la cui dedizione a un sogno può trasformare una persona in un essere che per gli altri è soltanto folle. Scherzi a parte mi sono buttato in un’impresa più grande di me ma ho avuto la fortuna di avere un carattere forte, resiliente, coraggioso e generoso che mi ha aiutato a portare avanti un progetto che non era nelle mie corde e per il quale non avevo nemmeno i mezzi economici necessari.


Veniamo al Lugano: qual è il suo giudizio sulla squadra di Croci Torti? 
L’ho già espresso più volte. La squadra deve approfittare del momento propizio. Ci sono tutti gli elementi per far bene e portare a casa un risultato storico. C’è una proprietà sana e solida con un management che funziona. L’unica insidia è pensare che tutto ci sia dovuto e che le cose saranno semplici. Ci sono in ballo anche altri club (potenti economicamente e “politicamente”) e tutti hanno lo stesso obiettivo. Non so se il Lugano sia la squadra più forte del campionato, ma è certamente nel gruppetto dei papabili. I progressi sono stati evidenti. Con Croci-Torti il primo anno (Coppa Svizzera a parte) siamo arrivati terzi a meno 17 dal vincitore. L’anno scorso secondi a meno 12. Quest’anno speriamo di fare ancora meglio. 


Sette impegni in un mese potrebbero sfiancare il Lugano. A tutti i livelli.
Dipende anche dagli infortuni e dalla dea bendata. Un pericolo latente c’è con una partita ogni tre giorni, tutte queste trasferte e così pochi allenamenti.


Dal Lugano al Bellinzona: Bentancur si è preso anche il settore giovanile. E Martignoni lancia il progetto stadio. Insomma: parrebbe che sotto i Castelli si lavori a pieno regime. Che ne pensa?
Mi sembra un film già visto. E’una vita che parliamo e litighiamo attorno al Team Ticino senza che nulla cambi. Da decenni si accenna a stadi per il calcio e a progetti vari. Per me è fuorviante dare tutte queste aspettative che quando non si avverano fanno perdere intere generazioni di tifosi. La cruda realtà è sotto gli occhi di tutti: con 3-400 spettatori non è possibile creare strutture professionali e far quadrare i conti di un club ambizioso. Non so chi siano i Maghi Zurlì in grado di compiere simili miracoli. 


Bentancur spesso ricorda che anche lui è stato decisivo nella promozione del Lugano.
Forse decisivo no ma importante senz’altro. Ha portato tre o quattro giocatori che un po’ di differenza l’hanno fatta. Lui a Lugano è riuscito a fare quello che probabilmente intende fare anche a Bellinzona: del business con giocatori piazzati e in seguito cessione del club. Questa volta però la vedo male anche se gli auguro di riuscirci.


Il Paradiso va male: siamo alla frutta?
Rispetto Antonio Caggiano perché in lui per certi versi mi rivedo. Ma ripeto da tempo che le condizioni quadro e la realtà nella quale si trova a operare sono diverse dalle mie. Le osservazioni che faccio sono sempre viste come una critica al presidente del Paradiso. Il problema è che si vede lontano un miglio come non ci siano le premesse. Se non hai un impianto sportivo adeguato, sponsor di un certo livello e pubblico è difficile costruire un progetto duraturo. Più passano le stagioni e più devi metterci soldi tuoi, senza necessariamente vedere risultati. Poi nel calcio c’è un ulteriore elemento paradossale: tu cerchi qualcuno che ti dia una mano e questi invece si aggrappano a te. E’un meccanismo stritolante e perverso del quale nemmeno ti accorgi: uno solo paga e moltissimi altri ricevono o in qualche modo approfittano. 


Infine: mandi un augurio a Zdenek Zeman, che non sta troppo bene di salute. 
Seguo le sue vicissitudini perché sono molto vicino a quello che succede in Italia e soprattutto a Pescara, dove mi reco frequentemente. Proprio lì è stato ricoverato, ma mi sembra che la cosa sia sotto controllo e la cosa mi fa molto piacere.

M.A.

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