Sport, 05 dicembre 2023

“Definito dittatore da certuni in realtà John era un giusto”

L’ex tecnico è entrato nella Hall of fame dell’HCL. Il ricordo di Claude Domeniconi

LUGANO - “Difensore di rendimento costante, implacabile in marcatura. Il suo marchio resterà quel check “a ponte” che ha arrestato tanti attaccanti lanciati a rete. L’esempio fulgido di cosa significhi un giocatore di ruolo fiero del suo specifico contributo alla causa comune”: si legge così di Claude Domeniconi nel libro del Settantesimo del club bianconero curato da Alcide Bernasconi. Una definizione che calza a pennello al giocatore vodese (classe 1958) originario di Bidogno, nato e cresciuto a Fleurier nella Val-de-Travers, una delle regioni più fredde del nostro Paese. In questo piccolo villaggio del canton Neuchâtel, il difensore ha cominciato in giovanissima età a frequentare la locale società di hockey su ghiaccio, che durante gli Anni Sessanta e Settanta ha spesso militato in Lega Nazionale B.


A soli 16 anni Domeniconi ha esordito in prima squadra e dopo un’esperienza quadriennale, si trasferito al Losanna: “Studiavo e giocavo all’hockey”, ci ha detto nei giorni scorsi. E proprio sulle rive del Lemano conoscerà due personaggi-chiave per la sua carriera: il tecnico Réal Vincent e il futuro presidente del Lugano Fabio Gaggini. E così, proprio grazie a queste conoscenze, nell’estate del 1981 Domeniconi arriva in Ticino. ”Ho vissuto gli anni sportivi più belli della mia vita: una promozione in Lega Nazionale A e quattro titoli svizzeri! Credo la miglior epoca della storia dell’HCL”. Nel 1983, alla sua seconda stagione in bianconero, il terzino è testimonio di una grande rivoluzione hockeistica. “Il primo campionato di LNA non fu entusiasmante e la società decise di contrattare John Slettvoll, un tecnico del quale pochi conoscevano il curriculum. Lo volle Geo Mantegazza, che andò personalmente in Svezia per convincerlo ad accettare il trasferimento al Sud della Svizzera. Mai scelta fu così azzeccata”, afferma il buon Claude, che a distanza di tanti anni ha quasi mollato l’hockey


“Ho visto Lugano-Zugo, recentemente, una bruttissima partita... Ma era da tanto tempo che non andavo alla Corner Arena”, e continua a lavorare in qualità di consulente globale finanziario e assicurativo.
“Con John Slettvoll ho vissuto stagioni incredibili ed aver fatto parte della sua squadra è stato un onore”.


A proposito del mago di Umea: venerdì sera, poco prima del derby, è entrato a far parte della Hall of Fame dell’HCL, di cui è diventato l’ottavo membro dopo Alfio Molina, Bernard Côté, Bruno Rogger, Silvano Corti, Andy Ton, Fredy Lüthi e Glen Metropolit. 



Claude Domeniconi: un riconoscimento importante per il suo ex head coach. 
So che molti allenatori e giocatori ci tengono particolarmente a queste onoreficenze. Soprattutto nel mondo hockeistico. Sono contento per Slettvoll, che nella sua lunga esperienza a Lugano ha contributo in modo decisivo a fare crescere la società e il livello tecnico dei singoli giocatori. Senza dimenticare che fu proprio grazie a lui e al presidente Geo Mantegazza se anche il movimento nazionale ha potuto beneficiarne. Mi riferisco all’introduzione del professionismo. 


Con il suo arrivo ci fu un cambiamento radicale di filosofia sportiva. Una rivoluzione, appunto. 
Esatto. Slettvoll era stato chiaro: se vogliamo maturare, se vogliamo salire di livello dobbiamo adottare nuovi sistemi di gioco e di preparazione. Basta un allenamento al giorno! Tutta la rosa d’ora in poi deve sostenere due sessioni giornaliere. Una al mattino e l’altra nel tardo pomeriggio. Era ovvio che chi, come il sottoscritto, aveva un altro lavoro, doveva compiere una scelta precisa. Quello fu un momento storico. Alla lunga capimmo che non c’era altra strada da intraprendere: Slettvoll aveva solo un obiettivo in testa. Far crescere la squadra ed arrivare al titolo nel più breve tempo possibile. Nel 1983 disse che in tre anni avrebbe portato l’HCL ai vertici. E così fu.


Lei era considerato uno dei fedelissimi di Slettvoll. 
Sin dai primi giorni mi sono trovato benissimo con lui. Mi piaceva il suo modo di interpretare lo sport e di comportarsi. Deciso, competente, didattico e lungimirante. Si vedeva che arrivava da un altro pianeta hockeistico. A quei tempi la Svezia sembrava inarrivabile per noi. Immediatamente mi resi conti che con lui avrei imparato a stare sul ghiaccio...


Poi arrivarono i titoli.
Quando giunse in Ticino nell’estate del 1983, capimmo subito che Slettvoll ci avrebbe preparato per diventare campioni svizzeri. Con pazienza, iniziò un lavoro tattico e fisico asfissiante, ma visto prima di allora. Il primo anno non fu esattamente trionfale ma si intravvedeva un cambiamento, graduale e sistematico: la squadra adesso giocava da squadra, le individualità passarono in secondo piano e anche coloro che avevano talento di adattarono alla linea del coach.


Slettvoll forgiò un Lugano che puntava molto sull’aspetto difensivo. 
Il suo era uno stile di gioco innovativo, che non si era mai visto in Svizzera, un gioco basato su una rigida disciplina difensiva. Del resto in tutti gli sport di squadra se riesci a coprire bene la zona arretrata e il portiere, sei a metà dell’opera. Con Slettvoll era così e alla fine il suo credo risultò vincente. 


Eppure ci fu qualcuno a cui il tecnico svedese non andava a genio. Ci riferiamo a Riccardo Fuhrer, che proprio prima della finalissima col Davos venne allontanato dalla squadra. 
In quel caso il club assecondò il nostro allenatore e alla fine la decisione di mandare Fuhrer in tribuna non incise sul rendimento della squadra. Qualcuno comunque disse che Slettvoll era un dittatore: non era affatto vero! John era una persona esigente e a tratti anche dura nei suoi atteggiamenti ma sempre leale e giusto.

M.A.

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