“In questo momento i Tigers non hanno i fondi necessari per un campionato d’avanguardia mentre la SAM Massagno sta meglio, anche se non è certamente ai livelli di budget di un Olympic Friborgo o di un Ginevra. Si naviga a vista, insomma” afferma. La passione per la pallacanestro gli è comunque rimasta. Due volte la settimana, infatti, si reca a Barbengo (nella società per la quale ha giocato tanti anni fa in Lega Nazionale B) ad allenare i bambini delle elementari e i ragazzi delle medie. Per insegnare loro i fondamentali e le basi di questo bellissima disciplina. Sposato con l’ex giocatrice Marusca Della Giovanna, che ha allenato a Bellinzona, e papà di Samuele e Arianna, l’ex tecnico si è messo volentieri a nostra disposizione per parlare della sua carriera e di un passato che gli ha riservato grosse soddisfazioni personali.
Fabrizio, partiamo dalle sue origini e dai luoghi dove è cresciuto.
Sono massagnese al cento per cento. Per la precisione di Rovello, nella zona dei Tre Pini, dalla quale si vede tutta Lugano e la sua bellezza. E abitavo nello stessa casa della mia futura moglie Marusca, che ho conosciuto già in gioventù. In seguito l’avrei allenata a Bellinzona, ai tempi in cui nella Capitale il basket aveva raggiunto indici di interesse inaspettati. Oltre tutto in un città tipicamente di calcio.
A proposito di calcio.
È stato il mio primo amore. A scuola si giocava soprattutto a calcio. Poi però negli Anni Settanta ho conosciuto un certo Renato Carettoni, che con il tempo sarebbe diventato il mio maestro. Un personaggio incredibile, al quale il Ticino della pallacanestro deve molto. Passione, competenza e conoscenze: questo è il Renato del basket. Sono partito dagli atomi, insieme al povero Oscar Rota, recentemente scomparso. Con lui ho fatto tutto il movimento giovanile come giocatore. Poi sono finito in prima squadra ed ho conosciuto giocatori del calibro di Gary Stich e di Kerry Davis.
Lei ha giocato anche in Nazionale.
Nella selezione juniores. Allenatore l’olandese Hugo Harrenwjin. Ricordo che disputammo gli Europei di categoria in Turchia. Una bella esperienza. Poi però sul più bello mi arrivò addosso la sfortuna.
E cioè?
A 19 anni fui costretto a smettere, parzialmente per altro. Giocavo nella SAM Massagno, in Lega Nazionale A. Per un’ernia al disco, difficile da curare. Ma ciò non mi impedì di continuare: approdai infatti nel Barbengo, dove gli impegni erano meno stressanti e faticosi. Ci si allenava con meno frequenza e il mio corpo riusciva a sopportare gli sforzi. In quella squadra giocavo con i vari Ronchetti, Petoud, Cambrosio e Leonelli. Tecnico Teco Frischknecht.
Poi venne la svolta.
Esatto, proprio così. A 25 anni decisi di cambiare e di diventare allenatore. Le mie prime squadre? Le scolare e le cadette della SAM Massagno. Una bellissima avventura! Culminata da due titoli nazionali. Fu proprio in quel periodo che mi feci conoscere e alla fine firmai per il Bellinzona basket. Durante l’epoca Ponzio.
E arrivarono titoli importanti.
Una Coppa ed un campionato. Fu uno dei momenti sportivi più importanti della mia carriera. Eravamo la squadra più forte della Svizzera e giocavamo anche un bel basket. Andare in palestra era davvero un piacere. All’inizio di quella stagione cestistica allenai assieme a Ursula Mercoli, un vero guru del basket femminile nostrano. Quei successi sono meriti anche suo.
Dopo una parentesi a Massagno, ecco il basket... lacuale.
Sì, con il Riva San Vitale femminile ho vissuto momenti speciali. Siamo saliti dalla Prima Lega alla massima categoria. Gruppo e società eccezionali in un contesto del tutto particolare. Siamo riusciti ad arrivare in finale di Coppa Svizzera. Abbiamo perso ma siamo usciti a testa alta. Sono orgoglioso di aver allenato il Riva. Poi qualche anno dopo ho chiuso la mia carriera nella Star Gordola. Stavo per lasciare quando mi hanno chiamato i dirigenti locarnesi: segno che avevano seguito il mio lavoro e lo avevano apprezzato.
Lei è un grande tifoso del basket Varese.
Vero. In passato ero un assiduo frequentatore del Palazzo dello sport di Masnago, dove ho seguito le gesta delle squadre che hanno dominato la Serie A italiana. In particolare quella del decimo scudetto e della stella. Il mio idolo era il giocatore croato Arijan Komazec, che a metà degli Anni Novanta era uno dei migliori giocatori in Europa.
Fabrizio: ha qualche rammarico se da uno sguardo al suo passato cestistico?
Non posso lamentarmi. Credo di aver dato e ottenuto molto dal basket. Avevo un sogno nel cassetto: allenare in Italia. Purtroppo non si è avverato. Ma non ne ho fatto un dramma. Anzi.
M.A.
E cioè?
A 19 anni fui costretto a smettere, parzialmente per altro. Giocavo nella SAM Massagno, in Lega Nazionale A. Per un’ernia al disco, difficile da curare. Ma ciò non mi impedì di continuare: approdai infatti nel Barbengo, dove gli impegni erano meno stressanti e faticosi. Ci si allenava con meno frequenza e il mio corpo riusciva a sopportare gli sforzi. In quella squadra giocavo con i vari Ronchetti, Petoud, Cambrosio e Leonelli. Tecnico Teco Frischknecht.
Poi venne la svolta.
Esatto, proprio così. A 25 anni decisi di cambiare e di diventare allenatore. Le mie prime squadre? Le scolare e le cadette della SAM Massagno. Una bellissima avventura! Culminata da due titoli nazionali. Fu proprio in quel periodo che mi feci conoscere e alla fine firmai per il Bellinzona basket. Durante l’epoca Ponzio.
E arrivarono titoli importanti.
Una Coppa ed un campionato. Fu uno dei momenti sportivi più importanti della mia carriera. Eravamo la squadra più forte della Svizzera e giocavamo anche un bel basket. Andare in palestra era davvero un piacere. All’inizio di quella stagione cestistica allenai assieme a Ursula Mercoli, un vero guru del basket femminile nostrano. Quei successi sono meriti anche suo.
Dopo una parentesi a Massagno, ecco il basket... lacuale.
Sì, con il Riva San Vitale femminile ho vissuto momenti speciali. Siamo saliti dalla Prima Lega alla massima categoria. Gruppo e società eccezionali in un contesto del tutto particolare. Siamo riusciti ad arrivare in finale di Coppa Svizzera. Abbiamo perso ma siamo usciti a testa alta. Sono orgoglioso di aver allenato il Riva. Poi qualche anno dopo ho chiuso la mia carriera nella Star Gordola. Stavo per lasciare quando mi hanno chiamato i dirigenti locarnesi: segno che avevano seguito il mio lavoro e lo avevano apprezzato.
Lei è un grande tifoso del basket Varese.
Vero. In passato ero un assiduo frequentatore del Palazzo dello sport di Masnago, dove ho seguito le gesta delle squadre che hanno dominato la Serie A italiana. In particolare quella del decimo scudetto e della stella. Il mio idolo era il giocatore croato Arijan Komazec, che a metà degli Anni Novanta era uno dei migliori giocatori in Europa.
Fabrizio: ha qualche rammarico se da uno sguardo al suo passato cestistico?
Non posso lamentarmi. Credo di aver dato e ottenuto molto dal basket. Avevo un sogno nel cassetto: allenare in Italia. Purtroppo non si è avverato. Ma non ne ho fatto un dramma. Anzi.
M.A.