Sport, 27 giugno 2023

“Tadej Pogacar favorito? No, in pole c’è Vingegaard”

Nel fine settimana inizia il Tour de France: intervista con il ticinese Rubens Bertogliati, per due giorni leader della corsa nel 2002

LUGANO - I 7 luglio 2002 il nostro Rubens Bertogliati indossò a sorpresa la maglia gialla del Tour de France. Vinse la seconda tappa, che giungeva in Lussemburgo, grazie ad una “rasoiata” che sorprese i grandi velocisti ad un chilometro dal traguardo. Prima di lui un altro ticinese, Giovanni Rossi da Ponte Tresa, era riuscito nell'impresa (anno 1951). “Ricordo quel giorno come se fosse oggi – ci raccontava nei giorni scorsi Rubens, che abbiamo intervistato per parlare del Tour 2023 ormai imminente – Avevo in mente di attaccare in un punto preciso: conoscevo il percorso perchè il giorno prima avevamo disputato il prologo a cronometro. Non avevo nulla da perdere e perciò preparai quello scatto. Detto per inciso: la tappa era fatta apposta per gli sprinter, Erik Zabel in primis. In quel periodo era il più forte, direi intrattabile”. Uno scatto che sorprese tutti. “Non se lo aspettava nessuno, tant’è vero che i favoriti ci impiegarono qualche secondo prima di di rendersi conto dell’accaduto e reagire. Ma intanto avevo fatto il buco; riuscii a costruirmi quel piccolo capitale di metri sufficienti per arrivare primo sulla linea del traguardo”. L’onda “alta” del gruppo minacciava comunque di travolgere Bertogliati. “Non mi voltai indietro e tirai dritto per la mia strada. Sapevo che per vincere avrei dovuto tenere la testa bassa sul manubrio e sputare sangue. Oltre al coraggio ci volevano anche tenacia e fortuna. Mi andò bene e alla fine entrai nella storia”. 



Per il coordinatore di Ticino Cycling vincere al Tour è qualcosa di veramente straordinario. “Nello sport internazionale la Grande Boucle è uno degli eventi più importanti e mediatizzati. Perciò credo che ogni corridore sogni di vincere un giorno una tappa o di finire in maglia gialla. Io ci sono riuscito e ne sono molto orgoglioso. Quando ho chiuso la carriera mi sono detto che avevo fatto qualcosa di eccezionale quel giorno in Lussemburgo. Avevo indossato una maglia che nel ciclismo vale come quella iridata”. Bertogliati la tenne per due giorni prima di cederla ad Erik Zabel. “ Sapevo che non avrei potuto rimanere leader a lungo. Per questo quando persi lo scettro del primato non ne feci assolutamente un dramma. Quella maglia la custodisco gelosamente a casa e spero che un giorno un altro corridore ticinese la possa indossare. Non sarà facile ma nella vita non si sa mai. E puoi sognare non costa nulla” dice l’ex corridore della Lampre.


Con Rubens Bertogliati ci focalizziamo ora sul Tour de France 2023, che scatta fra una settimana a Bilbao, nei Paesi Baschi. E subito ci viene in mente che il Grand Depart è stato oggetto di discussioni anche nel nostro Cantone, con l’idea di una candidatura ticinese per il 2027. “Purtroppo non è stato possibile concretizzare questo progetto – dice il nostro interlocutore –  Almeno per ora. Forze di causa maggiore (le difficoltà economiche dello stato, ndr) hanno impedito che ci fosse un seguito. Certo sarebbe stato fantastico poter portare il Tour in casa nostra fra 4 anni. Ma non è detto, lasciamocistupire”.


E veniamo allora alla Grande Boucle che scatta a Bilbao. Che corsa vedremo? 
Guardando il percorso mi viene in mente che sarà un Tour per scalatori. Gli organizzatori hanno inserito una sola cronometro, oltretutto con un tratto in salita nel finale, tante montagne e diverse frazioni adatte a scatti e fughe da parte di coloro che non hanno ambizioni di classifica ma puntano a vittorie di tappa. Penso a Van Aert, Alaphilippe e soprattutto a Van der Poel, tutta gente che cercherà di dinamitare il Tour. 


Al via ci sarà un solo svizzero, Stefan Küng.
Minimo storico. Sino ad un certo punto: ricordo che l’anno in cui conquistai la maglia gialla, al via c’erano se non sbaglio solo tre rossocrociati, uno dei quali ero il sottoscritto. I corridori elvetici che possono correre al Tour non sono molti, oltretutto le nostre squadre, quella di Cancellara (la Tudor) e la Q36.5, non sono presenti.


E poi non ci sarà, purtroppo, nemmeno Gino Mäder. 
Una gravissima perdita. Sia dal punto di vista umano che sportivo. Gino era uno dei nostri migliori rappresentanti. La sua è stata una tragedia, una fatalità. Il ciclismo è uno sport di rischio e i corridori sono consapevoli che i pericoli sono dietro l’angolo.

In questi giorni si parla soprattutto di Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar: sono i due grandi favoriti della corsa. Che ne pensa? 
Sarà sicuramente questo duello a tenere banco. Salvo possibili sorprese, vedi infortuni, non dovrebbero avere rivali. Li metto entrambi in prima fila, anche se il danese in questo momento è più in forma dello sloveno e quindi mi sento di dire che parte in pole position. E poi ha dominato alla grande il Giro del Delfinato, confermando di essere al top. Ripeto: per me è lui il favorito della Grande Boucle.


Pogacar è stato il re incontrastato della primavera. Poi la caduta alla Liegi-Bastogne-Liegi con la rottura dello scafoide. Non giunge dunque nelle migliori condizioni al Tour.
Certamente. Tadej ha recuperato ma non sappiamo esattamente se sia al cento per cento. Quando si corre al Tour e si vuole vincere lo si può fare soltanto al meglio delle proprie forze fisiche. Aspettiamo le prime tappe e poi vedremo. Mi pare che nelle ultime settimane il corridore sloveno si sia soprattutto allenato sulle strade di casa, riducendo al minimo la sua presenza a corse ufficiali.


Vingegaard parte con il morale alle stelle. 
È un corridore solido, fisicamente al top, ma soprattutto può contare su una squadra, la Jumbo Visma, in grado di sostenerlo su ogni terreno. Avere al proprio fianco in salita elementi come Kuss, Laporte e Benoot, che non sono semplici gregari, è una garanzia. Dunque il danese parte tranquillo e sereno, perché consapevole che avrà gente fortissima ad aiutarlo. Non dimenticherei anche un certo Van Aert. 


Vingegaard e Pogacar, dunque. E gli altri? 
Il danese e lo sloveno sono una spanna sopra gli altri. Non ci sono dubbi. E aggiungo pure che mi stupirei molto se a salire sul podio più alto a Parigi ci sia un corridore diverso da loro. Possibili sorprese, tuttavia, potrebbero essere Bernal, che ha già vinto un Tour ma non mi sembra al massimo della forma, Mas, corridore tenace e valido in salita, e perché no?, anche Carapaz e Pidcock. Difficile, per contro, che Landa sia protagonista. È un eterno incompiuto e al momento di tirar fuori le sue qualità, si defila. 


Continuerà il lungo digiuno dei francesi? 
Direi proprio di sì. I tempi di Hinault e Fignon sembrano appartenere ad un altra era. Corridori come quelli in Francia non ne sono più nati. Dubito che i vari Bardet, Pinot, Gaudu e Barguilpossano essere protagonisti. Magari per un giorno,come spesso è capitato nelle ultime edizioni del Tour. Ma non me li vedo lottare per la vittoria finale. Quindi, anche quest’anno non ci sarà una maglia gialla francese ai Campi Elisi.


L’ultimo trionfo transalpino risale addirittura al 1985, quando vinse Bernard Hinault. 
Un’eternità, dal punto di vista sportivo. I francesi in questi anni non hanno trovato un vero corridore da corsa a tappe e si sono affidati alle doti di uno straordinario Julien Alaphilippe per vincere classiche e Mondiali. E dietro l’angolo non si intravvedono nuovi possibili Hinault e Fignon.

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