Il corridore della Mapei, che oggi vende biciclette e organizza corse ciclistiche amatoriali in giro per il mondo, era all’apice di una brillante carriera durante la quale, oltre al Giro, aveva vinto tre Vueltas (1992, 1993 e 1994), due Tour de Romandie (1991 e 1995) e due Giri di Lombardia (1989 e 1992). Ma il ciclista di Zugo attraversò pure uno dei periodi più bui del ciclismo moderno, l’epoca del cosiddetto doping democratico, in cui tutti (o quasi) ricorrevano alle farmacie per migliorare le proprie prestazioni. Il suo mentore era il dottor Michele Ferrari, colui che costruì a suon di EPO il mito di Lance Armstrong.
Erano gli anni degli idoli di cartapesta: il texano (appunto), Zülle, Virenque. Lo schivo e modesto Toni non era uno da palcoscenico: correva per vincere, senza troppi fronzoli, anche se su di lui è gravata a lungo l’ombra del medico italiano.
Eugenio Capodacqua, inviato ai tempi di Repubblica, scrisse così dopo una tappa del Giro del 1995 dominata dall’elvetico: “È un Rominger straripante. Tanto. Troppo per questo Giro di onesti pedalatori. Migliore, dicono nel suo entourage, del Rominger che frantumò il muro dei 55 chilometri in un’ora a Bordeaux nell’autunno scorso. E già allora i suoi parametri fisici avevano dell’incredibile: di gran lunga superiori a quelli dei campioni più in vista. Quelli attuali li conosce solo il dottor Ferrari, il medico che per lo svizzero è come un fratello, discusso per le sue opinabili dichiarazioni sul doping”.
Ma tant’è: oggi Rominger preferisce parlare della sua storica vittoria di 28 anni fa, di quella cavalcata da Perugia a Milano abbellita e suggellata da tre vittorie di tappa, due delle quali a cronometro; il tutto in un contesto difficile a causa delle condizioni meteorologiche che resero la corsa molto dura e drammatica. “In alcune circostanze – ci ha detto nei giorni scorsi al telefono Toni Rominger –abbiamo pure rischiato la pelle a causa di strade piene di buchi e gallerie in cui era davvero difficile passare senza esporsi al pericolo. Un Giro che da questo punto di vista non fu il massimo. Anche nella penultima tappa di Luino, sotto il diluvio universale, abbiamo rischiato non poco. Sbaglio due anni fa è arrivato quinto alla Vuelta. Non un risultato scontato. Ci si chiede, semmai, se riuscirà a compiere un ulteriore step che lo porti in una posizione migliore”.
E allora parliamo del Giro di Rominger, partendo da un dato statistico. Quello fu l’anno d’oro della Mapei.
Vero. Fu una stagione sensazionale per il team del dottor Squinzi. Se la memoria non mi inganna vincemmo il Fiandre con Museeuw e la Roubaix con l’indimenticato Ballerini, il Romandie con il sottoscritto, più tante vittorie di tappa ai vari Giri. Senza dimenticare che Abraham Olano trionfò nel Mondiale in Colombia! Un’annata speciale, oscurata, si fa per dire, dalla vittoria di Miguel Indurain al Tour. Ci tenevo molto a vincere quella Grande Boucle, ma lo spagnolo era fortissimo. Ma in generale eravamo la squadra più forte e tutti ci temevano.
Al Giro lei era il grande favorito.
Mi sono presentato in ottime condizioni, anche se nella prima settimana ho dovuto lottare contro una fastidiosa tosse. Sapevo di avere a disposizione una squadra super, con corridori in gamba quali Unzaga, Nardello, Noé, Tafi e Gonzalez, tutta gente che ha corso per me e che nei momenti difficili, non molti per la verità, mi ha aiutato generosamente.
Qualcuno scrisse che quel Giro fu monotono, tanto che lei vinse con oltre 4 minuti di distacco su Eugeni Berzin.
Monotono? Non certo per colpa mia. Cominciai a costruire la vittoria nelle prime tappe: sia a cronometro che in salita ero il migliore. Gli altri? Beh, Berzin e Ugrumov, i miei più accreditati rivali, si fecero la guerra fra di loro, nonostante appartenessero alla stessa squadra, la Gewiss, mentre Chiappucci sentiva troppa pressione addosso. I mass media italiani puntavano su di lui per vincere il Giro. Alla fine si accontentò del quarto posto.
Berzin attaccò in pratica solo nella penultima tappa, quella di Luino.
Ricordo quel giorno come uno dei più difficili. Pioveva a dirotto e il russo provò un allungo nel finale. Riuscì nell’intento ma io limitai i danni. Quando giunsi al traguardo avevo capito che ormai avevo vinto il Giro. Il giorno dopo infatti a Milano ci fu un arrivo in volata (primo Giovanni Lombardi, ndr).
Qualcuno scrisse che quel Giro fu monotono, tanto che lei vinse con oltre 4 minuti di distacco su Eugeni Berzin.
Monotono? Non certo per colpa mia. Cominciai a costruire la vittoria nelle prime tappe: sia a cronometro che in salita ero il migliore. Gli altri? Beh, Berzin e Ugrumov, i miei più accreditati rivali, si fecero la guerra fra di loro, nonostante appartenessero alla stessa squadra, la Gewiss, mentre Chiappucci sentiva troppa pressione addosso. I mass media italiani puntavano su di lui per vincere il Giro. Alla fine si accontentò del quarto posto.
Berzin attaccò in pratica solo nella penultima tappa, quella di Luino.
Ricordo quel giorno come uno dei più difficili. Pioveva a dirotto e il russo provò un allungo nel finale. Riuscì nell’intento ma io limitai i danni. Quando giunsi al traguardo avevo capito che ormai avevo vinto il Giro. Il giorno dopo infatti a Milano ci fu un arrivo in volata (primo Giovanni Lombardi, ndr).
Maglia rosa ma non solo…
Vinsi anche la classifica a punti e la speciale graduatoria dell’Intergiro. Insomma: fu una corsa trionfale. Indimenticabile. Lei aveva dominato la Vuelta l’anno prima. Ma vincere il Giro è un’altra cosa… Non posso dire nulla al proposito. Due corse diverse, sensazioni ed emozioni differenti. Non farei una classifica...
Dal Giro del 1995 – ripetiamo: ultimo vinto da uno corridore svizzero – al Giro scattato ieri negli Abruzzi. Toni Rominger, che segue sempre il ciclismo ma solo in TV visto che ha poco tempo per recarsi sul posto, non ha dubbi: “Primoz Roglic è il grande favorito. Ha una enorme esperienza, è smanioso di tornare ai massimi livelli ed ha una squadra che per forza e compattezza paragono alla Mapei dei miei tempi. La Jumbo-Visma è una autentica corazzata”.
E Remco Evenepoel? Non è venuto al Giro per fare da paggetto allo sloveno.
Credo che il belga abbia i numeri per essere protagonista. Vola a cronometro e si difende in salita. Non a caso lo scorso anno ha vinto la Vuelta. Ma secondo me avrà molta pressione addosso e questo potrebbe tradirlo. Va inoltre aggiunto che la sua squadra non ha lo stesso potenziale della Jumbo Visma.
E gli altri?
Gli italiani ci proveranno con Ciccone e Caruso mentre Almeida, Thomas e Vlasov potrebbero dinamitare la corsa e candidarsi almeno al podio.
Ha visto il percorso?
Ho letto sui siti e i giornali specializzati il programma e credo che questa corsa potrebbe risolversi proprio nelle giornate finali. Alla terz’ultima tappa si arriva sulle Tre Cime di Lavaredo, salita storica del Giro d’Italia, che io conosco bene ed è parecchio dura. Il giorno dopo c’è la cronometro. Un gran finale, insomma.
Due parole infine sul ciclismo di oggi.
Vinsi anche la classifica a punti e la speciale graduatoria dell’Intergiro. Insomma: fu una corsa trionfale. Indimenticabile. Lei aveva dominato la Vuelta l’anno prima. Ma vincere il Giro è un’altra cosa… Non posso dire nulla al proposito. Due corse diverse, sensazioni ed emozioni differenti. Non farei una classifica...
Dal Giro del 1995 – ripetiamo: ultimo vinto da uno corridore svizzero – al Giro scattato ieri negli Abruzzi. Toni Rominger, che segue sempre il ciclismo ma solo in TV visto che ha poco tempo per recarsi sul posto, non ha dubbi: “Primoz Roglic è il grande favorito. Ha una enorme esperienza, è smanioso di tornare ai massimi livelli ed ha una squadra che per forza e compattezza paragono alla Mapei dei miei tempi. La Jumbo-Visma è una autentica corazzata”.
E Remco Evenepoel? Non è venuto al Giro per fare da paggetto allo sloveno.
Credo che il belga abbia i numeri per essere protagonista. Vola a cronometro e si difende in salita. Non a caso lo scorso anno ha vinto la Vuelta. Ma secondo me avrà molta pressione addosso e questo potrebbe tradirlo. Va inoltre aggiunto che la sua squadra non ha lo stesso potenziale della Jumbo Visma.
E gli altri?
Gli italiani ci proveranno con Ciccone e Caruso mentre Almeida, Thomas e Vlasov potrebbero dinamitare la corsa e candidarsi almeno al podio.
Ha visto il percorso?
Ho letto sui siti e i giornali specializzati il programma e credo che questa corsa potrebbe risolversi proprio nelle giornate finali. Alla terz’ultima tappa si arriva sulle Tre Cime di Lavaredo, salita storica del Giro d’Italia, che io conosco bene ed è parecchio dura. Il giorno dopo c’è la cronometro. Un gran finale, insomma.
Due parole infine sul ciclismo di oggi.
Mi piace. Ci sono corridori eccezionali, che vanno sempre all’attacco. Il tatticismo esasperato è stato finalmente superato da uno spirito garibaldino che non può che portare benefici al movimento. Pogacar in questo momento è sopra tutti di una spanna. Ma non paragonatelo ad Eddy Merckx. Sono due atleti completamente diversi. E poi le epoche sono completamente diverse.
MAURO ANTONINI
MAURO ANTONINI