Sport, 16 dicembre 2022

“Hanno tentato di screditare il calcio facendo della politica”

Le polemiche sul Qatar: il giornalista italiano Italo Cucci va controcorrente

ROMA (Italia) - Italo Cucci è uno che non le manda mai a dire: ha vissuto e raccontato oltre anni 50 di sport e la sa lunga. È un giornalista che spacca e chi lo segue – dapprima sui quotidiani sportivi italiani Corriere dello Sport, Stadio e poi sulle riviste Guerin Sportivo e Autosprint – ne conosce i cavalli di battaglia. Uomo di destra, fautore del catenaccio, alieno ad ogni forma di novità calcistiche, è stato per anni l’unico vero nemico (citazione sua) di Arrigo Sacchi, con il quale ha avuto scontri dialettici sul modo di interpretare il calcio, una diatriba aspra che ha diviso l’opinione pubblica italica. Inoltre: Cucci ha partecipato a 10 Mondiali di calcio, conoscendo fra gli altri Di Stefano (“Il migliore di tutti i tempi”), Pelè e Maradona. È stato un grande amico di Enzo Bearzot di cui celebrò la grande impresa azzurra del 1982, difendendo a spada tratta la sua Nazionale, anche quando usciva fra i fischi dopo prestazioni incolori. Bastian contrario? Forse.


Italo Cucci, che vive nell’isola Pantelleria, da lui definita “buen retiro” ha 83 anni ma segue sempre con attenzione gli avvenimenti internazionali sin dal lontano 1967, quando fu inviato dal quotidiano sportivo Stadio a seguire il Tour de France e dovette raccontare la tragedia di Tommy Simpson. “Quel giorno, quando vidi morire Simpson sul Mont Ventoux diventai giornalista. Non lo scorderò mai…”, ci ha detto al telefono nei giorni scorsi Italo Cucci, con il quale abbiamo parlato dei Mondiali del Qatar, del Brasile, del Portogallo di Cristiano Ronaldo, della Svizzera uscita agli ottavi di finale ma anche del suo amico Pelé. 


Italo: la prima domanda è quasi scontata: che Mondiale è? 
Bello, dinamico, popolare, ecumenico. Fresco per la vivacità di nuovi contendenti “minori”e anche perché si sta in casa al calduccio e si vedono tutte le partite. A Russia 2018 me ne persi la metà. 



Lei di mondiali ne ha visti e vissuti parecchi: qual è stato il primo e che ricordi ha? 
Il primo da raccontare Cile 62, il secondo fu in Inghilterra nel ‘66 dove venni “bruciato” dalla Corea. Andai al Convento di Camaldoli a ritirare dalle mani di Edmondo Fabbri, il CT silurato, un dossier nel quale i giocatori della Nazionale denunciavano di essere stati dopati. Non gli credette nessuno.


Il più bello? Forse quello del 1982? Lei scrisse: quel titolo è anche del Guerin Sportivo. 
Sicuro. E nessuno osò ribattere perché quando scrivevo e dicevo che avremmo vinto, mi trattavano come lo scemo del villaggio. Non fu fortuna, credetti - unico - in Enzo Bearzot e Paolo Rossi.


Il più brutto?
Quello sudafricano. Freddo e vuoto come l’Italia del commissario tecnico Marcello Lippi.


Quello qatariota sembra suscitare poche emozioni. A tutti i livelli
In verità a me piace soprattutto per la crescita planetaria – Africa e Asia divertenti, Marocco leader del Nuovo Calcio Mediterraneo (così l’ho chiamato, io che vivo a Pantelleria, finestra sull’Africa) – e soprattutto perché hanno imparato il calcio mercato all’italiana. 


Però il Mondiale assegnato al Qatar grida vendetta. 
Per le modalità della consegna. Come i Giochi di Atlanta alla Coca Cola. Poi viene l’ora dello sport e lo sport vince sempre. 


Senza la nazionale azzurra è dura? Oppure no. 
Sembrava che dovessimo soffrire e invece non ci è mancata. Prima perché le ultime partite ci hanno confermato la nostra pochezza, poi la rivelazione: gli ascolti televisivi in base ai quali sappiamo
che il calcio è amato, anche quando si parla di cose che non riguardano gli azzurri. 


Cosa avrebbe fatto la nazionale di Mancini se fosse andata? 
Come sempre, quando siamo partiti in disgrazia, avrebbe vinto. Un paradosso. Ma l’ho vista così in due Mondiali e in due Europei. E anche quando c’era Pozzo era così.


La Svizzera ha rimediato una figuraccia!
Con il finale disastroso contro il Portogallo ha cancellato tutto quello che diligentemente aveva fatto. 


A proposito di rossocrociati: ancora una volta i match fra Serbia e Svizzera lasciano strascichi. Che ne pensa del caso Xhaka? 
Un equivoco costruito forse apposta. Quanti tentativi di danneggiare il Mondiale con la politica, con l’ipocrisia del political correct. È stato un errore affidarlo al Qatar dodici anni fa, una cialtronata far finta di non sapere che sei in un paese islamico dove non si bevono alcolici e dove non è accettata l’omosessualità. Stampa vanesia, informazione confusa.


E Cristiano Ronaldo in panchina?
Come in tutte le cose esiste un inizio e pure una fine. CR7 avrebbe dovuto capirlo. Ma lui potrebbe essere utile alla sua squadra, anche seduto fra le riserve. Come fece, in fondo, durante la finale degli Europei del 2016. Si infortunò ad inizio gara e fu sostituito. Ma sostenne i compagni come se fosse lui il commissario tecnico.


In generale: chi le è piaciuto di più, calcisticamente parlando? 
ll Brasile. Quello che ha fatto fuori l’onesta Corea del Sud. Mezz’ora strepitosa da Vavà, Didi, Pelé! 


A livello tecnico non ci sono state grosse novità. 
La novità vera è il calcio davvero globalizzato dai calciatori che l’Europa arruola in tutto il mondo è ogni quattro anni restituisce alle loro nazioni.


Un pensiero per il suo amico Pelé, che sta lottando per la vita. 
Un personaggio diverso, un campione e un uomo al quale voglio dire di tener duro con le parole del cuore: ti voglio bene, non lasciarmi.

M.A.

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