Sport, 02 settembre 2022

Carlos Caszely, il bomber che disse no a Pinochet

In piena dittatura, la nazionale cilena partecipa ai Mondiali del 1974: la guida un dissidente

Scena numero 1: Carlos Caszely, uno dei migliori giocatori cileni dell’epoca, riceve la visita del dittatore Augusto Pinochet nel ritiro della nazionale prima della partenza per i Mondiali del 1974 in Germania. Il satrapo, che solo un anno prima aveva rovesciato con un sanguinoso golpe il presidente Salvador Allende, vuole salutare la squadra e ad uno ad uno stringe la mano a dirigenti, accompagnatori e calciatori. Ma quando si presenta davanti a Caszely, quest’ultimo si rifiuta di contraccambiarne il gesto. Grande imbarazzo.


Scena numero 2: nel 1985 i due si incrociano nuovamente. Pinochet si avvicina al giocatore, che indossa una cravatta rossa, e dice con fare provocatorio: “Ma lei porta sempre la cravatta?”. Carlos per nulla intimorito risponde: “Sì. Non me la tolgo mai. La porto dalla parte del cuore”. Subito dopo il generale fa il gesto delle forbici per far capire che quella cravatta l’avrebbe tagliata in tanti pezzi. Furioso.


Coraggio: Due scene, quelle che abbiamo appena descritto che ci raccontano del coraggio e della spavalderia di Carlos Caszely, uno dei migliori giocatori cileni di tutti i tempi ma anche patriota e uomo anti-regime durante un periodo in cui un giocatore professionista ligio al potere aveva solo da guadagnare. Ma lui disse di no ad Augusto Pinochet e a tutto quanto rappresentava. Era soprannominato hombre vertical, una persona sicura delle proprie convinzioni, schivo ai compromessi, anche se questo atteggiamento poteva costargli la vita. Ma Pinochet, che ne aveva probabilmente apprezzato il coraggio, non lo punì direttamente: si rifece sulla mamma di Carlos, che finì in isolamento prima e sotto tortura poi.


Golpe cruento: quando nel settembre del 1973 i militari guidati da Augusto Pinochet rovesciarono il governo democraticamente eletto di Salvador Allende, Caszely si trovava in Spagna, dove militava nel Levante. Perciò il suo primo impatto con il Cile del sanguinario generale lo ebbe due mesi dopo il golpe: allo Stadio Nacional di Santiago era infatti in programma il ritorno dello spareggio per accedere ai Mondiali del 1974 in Germania. Il Cile avrebbe dovuto affrontare l’Unione Sovietica che, però, decise di non giocare nello stadio grondante di sangue. La partita divenne una farsa visto che il Cile scese in campo senza avversari. Dapprima segnò il gol dell’1-0 con capitan Valdes, poi toccò a Caszely e Valdes che per timori di ritorsioni non ebbero il coraggio di finire quella sceneggiata.
Cile ai Mondiali, senza troppo merito e con il disprezzo di tutta l’opinione pubblica internazionale. E alla vigilia del mondiale del 1974, come detto prima, Pinochet volle far visita alla nazionale cilena e salutare i giocatori. Come andò a finire lo abbiamo descritto sopra.


Cartellino rosso: Caszely venne comunque convocato per la rassegna tedesca ma la sua avventura durò pochissimo perché all’esordio contro la nazionale tedesco-occidentale venne espulso quasi subito. Fu il primo giocatore a ricevere il cartellino rosso appena introdotto dalla FIFA. In patria la stampa lo massacrò e sino al 1982 non venne più richiamato in Nazionale, vittima dell’ostracismo della federazione, guidata dai portaborse di Pinochet. Fu tuttavia grazie a lui se la nazionale si qualificò per i Mondiali di Spagna. Ma proprio nel paese iberico accadde un’altro fattaccio: contro l’Austria, sbagliò il rigore che comportò l’eliminazione dalla rassegna iridata. La stampa di regime non aspettava altro per crocifiggerlo. Ma lui non se ne rammaricò, e anzi nel 1985 incontrò nuovamente Pinochet: non gli strinse la mano e indossò per l’occasione una cravata rossa che fece imbufalire il presidente.


Spot anti-governo: il bomber del Colo Colo parteciò poi nel 1988 alla campagna referendaria contro la riconferma di Pinochet alla presidenza. Con il 55% dei voti il dittatore fu sconfitto e il Cile cominciò a diventare un paese più democratico anche se ci sarebbero voluti ancora diversi anni prima che diventasse veramente libero. Tra i tanti spot contro la dittatura uno ebbe un ruolo decisivo: una signora sulla settantina si presentò davanti alle telecamere e raccontò degli abusi, delle vessazioni e delle torture che il regime dittatoriale le aveva inflitto. Ma poco prima che si spegnessero le telecamere apparve


Carlos Caszely: doveva prendersi la rivincita per non aver trovato il coraggio d’interrompere la partita della vergogna contro la nazionale sovietica nel lontano 1973. Disse: “Per questo il mio voto è No. Perché la sua allegria è la mia allegria. Perché i suoi sentimenti sono i miei sentimenti. Perché il giorno di domani potremo vivere in una democrazia libera, sana, solidale, che tutti possiamo condividere. Perché questa bella signora è mia madre”.


JACK PRAN

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