Sport, 10 luglio 2022

David Sesa (ACB): un allenatore dal volto umano

BELLINZONA - David Sesa è figlio di un emigrante campano giunto in Svizzera nei primi anni Settanta. Il papà faceva il falegname, la mamma, cittadina elvetica, la casalinga. Erano tempi difficili per chi veniva da fuori: in certi ritrovi di Zurigo l’accesso agli italiani era addirittura proibito.


Brutte storie di un passato non troppo glorioso (per la Confederazione) e nel quale David è cresciuto con un pallone fra i piedi. Inevitabile, perciò, che il ragazzo nato a Dielsdorf diventasse calciatore: Zurigo, Servette, Lecce, Napoli, la nazionale rossocrociata e poi, al tramonto di una carriera comunque importante, Aarau, Palazzolo, Spal e Rovigo. Una lunga esperienza vissuta accanto a grandi interpreti del calcio degli Anni Novanta, uno su tutti Zdenek Zeman. “Un maestro – dice David Sesa – Con lui abbiamo faticato e sputato sangue. Nulla ci era regalato. Ma alla fine c’era la consapevolezza di aver imparato qualcosa. È stato un precursore, un rivoluzionario. Peccato che non tutti l’abbiano capito”. 


Il lungo cammino sportivo del neo-allenatore granata iniziò nello Zurigo, la squadra della sua città. E proprio da lì parte la nostra intervista con David, tecnico dal volto umano: disponibile, bonario e pure ironico (Il che non guasta mai).


KURT JARA: “Fu l’allenatore austriaco a lanciarmi nella prima squadra del FCZ. Eravamo agli inizi degli Anni Novanta. Nel calcio svizzero, allora, era il Grasshopper a dominare e noi dovevamo accontentarci delle briciole. Vi assicuro che era frustrante. Crebbi comunque in un ambiente caldo, perché i nostri tifosi ci sostenevano con grande passione. Sono sempre stati i migliori. Ancora oggi sono fan dello Zurigo e quando ha vinto il titolo due mesi fa ero felice”.


SERVETTE: “Un’ esperienza indimenticabile! Non furono anni di grandi conquiste ma ebbi l’occasione di lavorare con allenatori di spessore. Ne cito tre: Iljia Petkovic, Challandes ed un certo Vujadin Boskov, ormai a fine carriera. In quegli anni ero pure arrivato in Nazionale. Non era un momento entusiasmante per la nostra massima rappresentativa”. 



POST- HOGDSON: “Quando entrai nel giro rossocrociato si era appena conclusa l’era Hogdson. Al suo posto era stato nominato Arthur Jorge che subito mi diede fiducia. Mi portò agli Europei del 1996 in Inghilterra anche se non giocai una sola partita. Del resto avevo una concorrenza davvero formidabile: Bonvin, Grassi, Chapuisat e Türkyilmaz! Ma quella esperienza mi servì comunque”


AZERBAIGIAN: “ Mamma mia… (ride). Qualificazioni ai Mondiali di Francia 1998, prima partita del girone contro il modesto Azerbaigian. Perdiamo clamorosamente 1-0 e Murat Yakin sbaglia pure un rigore. Che figuraccia! In panchina c’era Rolf Fringer. Che per altro non durò a lungo. Quel giorno mi schierò nella ripresa al posto di Ohrel”


LA SERIE A: “Giocavo ancora nel Servette quando mi arrivò la proposta del Lecce, che allora militava in Serie B. Una cosa pazzesca, avevo sempre sognato di andare in Italia, il mio paese di origine. Mi volle il direttore sportivo Corvino. In panchina c’era Cavasin. Il primo anno fu subito promozione! Ed io riuscii a ritagliarmi uno spazio importante. Segnai 7 gol e in Coppa Italia ne realizzai uno al Monza dopo appena otto secondi. Credo sia ancora oggi un primato per quella competizione”.


A NAPOLI: “Nell’estate del 2000 passai al Napoli. Mi dissi: questa è l’occasione della vita. Ma purtroppo le cose non andarono come avrei voluto. Anche per colpa di in un infortunio. Lavorai con Zeman, un maestro e poi con Mondonico che sostitui il boemo dopo poche giornate. La squadra faticava a seguire gli schemi dell’ex foggiano e in più la rosa non era molto competitiva. Finimmo in B.”


CAPOLINEA: “L’esperienza partenopea segnò in pratica la fine delle mie ambizioni. Nel senso che lasciai l’Italia per tornare a casa. Giocai ad Aarau, ma senza troppa fortuna. Poi però qualcuno si ricordò del sottoscritto e firmai per il Palazzolo in C2. Quindi la Spal, squadra della quale diventai il capitano, e infine il Rovigo. Ma era un altro calcio…”.


WOHLEN: “Dopo il patentino a Coverciano, allenai per un anno la squadra argoviese. E dopo quell’esperienza decisi di seguire il mio amico Rene Weiler in qualità di assistente nell’Anderlecht e poi in Egitto. Una scelta che mi ha permesso di approfondire le conoscenze calcistiche anche se come vice. Finalmente, un mese fa ho pensato che era il caso di tornare ad essere head coach, dopo 8 anni”.


GRANATA: “ Ho accettato volentieri la proposta di Pablo Bentancur, perché Bellinzona è una piazza che ama il calcio e perché il Ticino è una regione fantastica, in cui io e la mia famiglia non avremo problemi ad ambientarci. So che nella Capitale c’è tanta fame di calcio e soprattutto di un calcio d’elite, dopo tanti anni trascorsi nelle serie minori. Sono felice di essere qui”.


MASSIMA SERIE: “ Tutti sappiamo che in Ticino il Lugano ha dovuto masticare amaro in Challenge
League prima di ritrovare la massima serie. Oltre un decennio. L’Aarau ci sta provando da ormai sette anni e di occasioni ne ha avute. Il Winterthur addirittura ha trascorso 37 in Lega Nazionale B. Per questo dico ai tifosi granata: armiamoci di pazienza e coraggio, un giorno toccherà anche al Bellinzona!”.

M.A.

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