Sport, 30 maggio 2022

Fischer: critiche sì, processi no!

Malgrado il KO ai quarti, la Svizzera ha un gioco e un’ identità. Mentale da migliorare

HELSINKI (Finlandia) - È vero: la sconfitta contro gli Stati Uniti ha fatto male. Malissimo. Mai come quest’anno, dicevano gli addetti ai lavori, la nazionale rossocrociata poteva ambire al podio mondiale. E non solo perché la Russia è stata esclusa dai giochi (vedi guerra in Ucraina) ma anche perché il potenziale della nostra rosa era (ed è) di qualità, e le motivazioni a mille. E allora cosa non ha funzionato, cosa ha impedito alla Svizzera di andare oltre ai quarti di finale? Sostanzialmente, una questione mentale: perché è venuta meno quella che invece era stata la chiave per il raggiungimento della medaglia d’argento nel 2013 e nel 2018, ovverossia la cattiveria agonistica nelle dinamiche del “dentro o fuori” (dalla partita secca, insomma).


Una mancanza di cattiveria agonistica che ha impedito ai nostri di tradurre in moneta sonante le occasioni create, di fare il gioco sporco davanti alla porta americana, e di essere più duri nell’uno contro uno. Operazione che invece i nostri avversari hanno fatto benissimo. Punto. Una pecca? Certo. Grave? Non abbastanza da chiedere la testa dell’allenatore o la cacciata di alcuni giocatori come certa stampa ha fatto nelle ore seguite al tracollo di Helsinki. Patrick Fischer, la cui conferma o non conferma non è oggetto di discussione, ha certamente delle responsabilità: non ha saputo trovare le contromisure al calo di tensione della sua squadra nel match contro gli yankee e prima ancora con Francia e Germania; e forse si è fidato troppo di alcuni elementi sui quali aveva puntato e che forse non avrebbero dovuto rimanersene
a casa o in tribuna (Miranda, Glauser e Riat).


Ma nel complesso il suo operato va oltre la semplice sufficienza e va visto in un contesto più ampio della rassegna iridata: l’ex tecnico bianconero, che siede dal 2016 sulla panchina più scottante del Paese, ha voluto ringiovanire i ranghi ed impostare un gioco dinamico, con veloci transizioni ed una circolazione del disco ariosa. La decisione di rompere con il passato (Diaz, Alatalo, Löffel) ha fatto storcere il naso a qualcuno ma rientra in un discorso di cambio che ogni allenatore ha il dovere e il diritto di fare. E a Fischer, da questo punto di vista, non si possono muovere appunti e critiche.


Il coraggio è una dote che non gli fa certo difetto ed è apprezzabile in un mondo come quello sportivo (hockeistico in questo caso) in cui le novità sono viste con diffidenza. Oltre alla questione tecnica, sempre migliorabile, lo zughese ha saputo dare un’identità alla squadra: tutti per uno, uno per tutti. E i giocatori lo apprezzano sia come tecnico sia come uomo. Fa, insomma, l’unanimità. Se così non fosse tanti elementi della NHL non accetterrebbero la convocazione in Nazionale dopo una stagione lunga e pesantissima dal punto di vista fisico e psicologico.


Infine: non lamentiamoci troppo. La Svizzera ha battuto e dominato il Canada nella fase di qualificazione. Un risultato che alcuni sottovalutano perché che contava era vincere nei quarti. Okay. Ma l’aver battuto i nordamericani resta comunque un’impresa. E poi non si può andare a medaglie anno anno. O no?

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