Sport, 04 marzo 2022

La parabola di un dirigente visionario e truffaldino

Luciano Gaucci, già presidente del Perugia, sfuggito alla giustizia italiana

Non si è fatto mancare nulla Luciano Gaucci, l’ex presidente del Perugia scomparso due anni fa a Santo Domingo a causa del morbo di Alzeheimer. Ha costruito dal nulla una società di pulizie a Roma, sua città natale, ha preso in mano il Grifone dopo il fallimento, portandolo sino alla Serie A (e pure in Europa) e, grazie al suo fiuto e alla sua grande conoscenza della materia, ha cresciuto e lanciato il cavallo Tony Bin verso le vette più alte del mondo delle corse. Un uomo di successo, circondato da belle e avvenenti donne, disposto a tutto pur di ricavare benefici personali, anche a delinquere.


Un imprenditore-dirigente visionario e truffaldino: fu lui a nominare una donna allenatore in un club professionistico italiano (nel caso Carolina Morace) e fu sempre lui che tentò di addomesticare alcune partite: fu indagato e condannato per bancarotta fraudolenta. Non si è fatto mancare nulla, il patron perugino, ma solo una cosa gli è sfuggita: la sua cara e adorata Roma, la squadra della quale è diventato tifoso da bambino. Anche nel suo rifugio dominicano, dove si è rifatto una vita e ha pure ottenuto la nazionalità del paese caraibico, non ha mai smesso di occuparsi del suo antico amore.


Gaucci nacque nella città eterna sul finire del 1938 da una famiglia di modeste condizioni. Ma presto abbandonò quello status sociale grazie alla ditta di pulizie La Milanese, alla quale con il tempo affiancò una scuderia di cavalli e mise a segno il suo primo vero colpo, acquistando un purosangue irlandese di nome Tony Bin, che porterà alla fama planetaria. Gaucci però non si accontentò: voleva di più, voleva la Roma, della quale diventò vice-presidente nel 1984. Furono anni gloriosi per la Lupa, gli anni dello scudetto e della finalissima (persa) di Coppa dei Campioni.


In cuor suo, però, sognava di prendere il posto di Dino Viola, cosa che però non gli riuscì. Si dovette accontentare, si far per dire, del Perugia, preso in mano subito dopo il fallimento e nel quale per 13 lunghi anni fu il patron incontrastato. Una sorta di padre-padrone. Deciso, severo, bonario e generoso.
Sotto il suo comando, il Perugia ottenne una promozione dalla Serie C1 alla Serie B nel 1994, due promozioni dalla Serie B alla Serie A (1996 e 1998), oltre una promozione fra i cadetti annullata per illecito sportivo nel torneo 1992-1993, illecito che costò a Don Luciano tre anni di squalifica. Ogni tanto usciva fuori quel suo irrefrenabile istinto delinqueziale. In terra umbra diventò comunque un eroe popolare: nel 2003 il Perugia arrivò in smifinele di Coppa Italia e nel 2004 approdò addirittura in Coppa UEFA.


Nel bel mezzo di tutto, lanciò un allenatore di belle speranze come Serse Cosmi e giocatori che sarebbero diventati in seguito campioni del mondo: Marco Materazzi, Fabio Grosso e Rino Gattuso. Altri giocatori di spessore passarono dallo stadio Curi: citiamo Miccoli, Nakata, Obodo, Rapajic e Zè Maria. Ma arrivarono anche elementi piuttosto stravaganti. Il sudcoreano Ahn, il cinese Ma Mingyu, il trinidiano Spoann, l’iraniano Rezaei ma soprattutto il libico Saadi Gheddafi, che altri non era che il figlio del dittatore Muhammar che vestirà solo una volta la maglia del Perugia contro la Juventus.


Follie gaucciane, si disse. Come quella di provare il tesseramento nel Perugia della calciatrice tedesca Birgit Prinzi, a quei tempi la più forte al mondo. Fu necessario l’intervento della FIFA per sconsigliare Gaucci. Il dirigente romano mise le mani anche su altre società di calcio italiane. Oltre al Perugia, e alla Viterbese, diventò proprietaro anche del Catania e della Sambenedettese, sempre con risultati lusinghieri.


Sul piano sentimentale Lucianone non ebbe molta fortuna. Fidanzato per anni con Elisabetta Tulliani, attualmente moglie di Gianfranco Fini, ruppe il rapporto a causa della presunta ingordigia monetaria della compagna. “Elisabetta aveva fame di soldi, stava con me solo per quelli, mica per altro. Ha fatto il bottino di tutto quello che voleva, ha appartamenti, ville, terreni. Ha provato a depredarmi: beni immobili, auto, quadri, gioielli, pietre preziose, brillanti e tanto altro ancora. Mi dispiace per Gianfranco Fini…”.

JACK PRAN

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