Sport, 15 febbraio 2022

Il presidente della grande impresa

Ricordo di Tullio Calloni, dirigente buono scomparso nei giorni scorsi

LUGANO - L’ultima intervista rilasciata da Tullio Calloni - ex presidente del Lugano deceduto nei giorni scorsi dopo una breve malattia - risale allo scorso 12 dicembre. Fu dalle nostre colonne che sfogò la sua delusione per la mancanza di pubblico a Cornaredo, malgrado l’ottimo comportamento della squadra e il cambio epocale a livello dirigenziale. Manifestò così la sua totale disillusione: “Ho smesso di credere che a Lugano possano esserci tanti spettatori per una partita di calcio”. E aggiunse: “Provo invidia per l’hockey che ha saputo accattivare maggiormente i giovani”. 


Parole che riassumevano benissimo un pensiero datato, espresso a più riprese, anche dopo la grande impresa di San Siro realizzata dai bianconeri la sera del 26 settembre 1995. Pochi giorni dopo l’eliminazione dell’Inter dalla Coppa UEFA, ad assistere a Lugano-San Gallo di campionato c’erano a malapena 4’000 spettatori. Ma Tullio, pur se deluso e imbarazzato, non ha mai smesso di sostenere la squadra del cuore; soprattutto nei momenti in cui sembrava che la sua storia centenaria sembrava dovesse finire al macero. Di lui, a proposito, ricorda René Morf: “Nel 2003, subito dopo il fallimento, il presidente aiutò quei giocatori, sottoscritto compreso, che si trovarono in difficoltà economiche e sportive. Per me era come un padre”.


Una persona a modo, un uomo perbene, Tullio Calloni, del quale proponemmo un’intervista anni fa che ancora oggi viene ricordata:“ Il presidente dal volto umano”. Una sorta di consacrazione definitiva per un dirigente che aveva preso in mano le redini del Lugano nella primavera del 1994, quando Francesco Manzoni lasciò il club. “Se vinciamo la Coppa – sentenziò – mi ritiro” ebbe a dire alla vigilia della finale con il Grasshopper dell’anno prima. Detto fatto, i bianconeri golearono le cavallette e il buon Cecc andò in meritata pensione calcistica. E con l’arrivo di Calloni alla guida della società, cambiarono (e in meglio)
i rapporti con i giocatori, il pubblico e gli stessi giornalisti.


Bonario, educato e gentile, l’ex presidente del Gentilino, non andava mai sopra le righe e privilegiava i modi garbati e decisi piuttosto che le sparate e gli strilli. Ma non era banale o istituzionale, come direbbe qualcuno: quando si trattava di difendere il club o le proprie idee, si faceva valere, eccome! Fu definito un amico dei giocatori, perché a differenza di altri suoi colleghi sapeva ingraziarseli con i suoi gesti e le sue parole, sempre lievi e obiettive. Paulo Henrique Andriolli una certa volte disse: “Non volevo più stare a Lugano perché non mi trovavo più bene con il tecnico (Morinini, ndr). Chiesi allora di andarmene e il signor Calloni agevolò la mia partenza per San Gallo. Mi voleva bene e mi stimava come giocatore ma capiva il mio stato d’animo e in un certo senso mi aiutò”.


Il presidente dal volto umano o della grande impresa (di San Siro) ha attraversato quasi tutta la storia del club bianconero: dalle prime partite da tifoso appena undicenne del Campo Marzio, all’epopea del Grande Lugano di Louis Maurer e Otto Luttrop.“ Lo ringrazierò per sempre: se il Lugano è diventata una delle squadre più prestigiose e temibili del calcio svizzero, gran parte del merito è suo” disse Calloni, che ad inizio dello scorso mese di dicembre avrebbe dovuto partecipare alla cena dei reduci del 1968, della squadra cioè che trionfò in Coppa Svizzera, un appuntamento tradizionale che però non ha avuto luogo, perché l’ex presidente, alle prese con problemi di salute, è stato ricoverato in ospedale.


Il suo ricordo più bello in tanti anni vissuti in bianconero? Molti. “In particolare il fatto che lo zoccolo duro della squadra che espugnò Milano era nostrano, con ben sette ragazzi cresciuti nel nostro vivaio in campo: Morf, Penzavalli, Esposito, Belloni, Colombo, Manfreda e Carrasco” disse. Altri tempi, altro calcio, quanta nostalgia. Ciao Tullio.

RED.

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