Opinioni, 08 ottobre 2021

Terremoto politico in Francia in vista delle presidenziali del 2022

Clamoroso in Francia! Secondo gli ultimi sondaggi, a sfidare Emanuel Macron alle elezioni presidenziali che si svolgeranno nell’aprile del 2022 non sarà la leader del Rassemblement National (ex-Front National) Marine Le Pen, bensì Eric Zemmour, un giornalista politico, scrittore, saggista e polemista nato a Montreuil nel 1958 da una famiglia ebrea francese fuggita dall’Algeria durante la guerra d’indipendenza , e divenuto negli ultimi anni uno dei più acerrimi e noti oppositori dell’islam - da lui considerato incompatibile con la Repubblica - e dell’islamizzazione della Francia.

Fino a quattro mesi fa le intenzioni di voto a favore della Le Pen ammontavano al 28% e quelle a favore di Zemmour al 3%. Secondo l’ultimo sondaggio reso noto il 5 ottobre le parti si sono invertite: la Le Pen è scesa al 15% e Zemmour, con il 17%, è balzato al secondo posto. Al primo posto vi è il presidente Macron con un poco rassicurante 24%, mentre in quarta posizione segue con il 13% Xavier Bertrand, candidato del partito di tradizione gollista “Les Republicains” . Al quinto posto, con l’11%, si trova Jean-Luc Mélenchon, leader del movimento di sinistra “La France insoumise”.

Il fatto incredibile è che Zemmour, classificato dalla stampa francese come uomo di estrema destra, non ha alcun partito alle spalle e soprattutto non è neppure candidato alle elezioni presidenziali, anche se di fronte all’entusiasmo popolare che lo circonda tutti si attendono che non tarderà a dare l’annuncio della sua discesa in campo ufficiale. Nell’ipotesi di un ballottaggio fra Macron e Zemmour i sondaggi danno per ora vincente il primo con il 55% di preferenze. Ma alle elezioni mancano ancora sei mesi e non è da escludere una sorpresa. Tanto più che la costante ascesa di Zemmour nei sondaggi si è accentuata dopo la recente pubblicazione del suo ultimo libro intitolato “La France n’a pas dit son dernier mot”. Zemmour potrebbe insomma ripetere il colpo che cinque anni fa era riuscito negli Stati Uniti a Donald Trump, con la differenza che il giornalista francese – oltre a pesare la metà - è un uomo di grande cultura, abilissimo oratore e polemista, e raffinato nello stile. Nei dibattiti che si stanno moltiplicando in questi giorni su tutte le reti televisive, i suoi avversari, spalleggiati da giornalisti smaccatamente faziosi, lo attaccano, lo demonizzano e lo insultano dandogli del razzista, del misogino, dell’omofobo (è contrario ai matrimoni gay) e paragonandolo a un virus contagioso. Ma lui non si scompone e risponde sul piano delle idee e degli argomenti, senza attaccare le persone. E anche per questo suo atteggiamento piace a un crescente numero di francesi.

Zemmour – fervente ammiratore di Napoleone e del generale De Gaulle – è nemico giurato del mondialismo e del multiculturalismo tanto cari a Macron e che, secondo lui, hanno contribuito a indebolire il settore industriale francese, a far salire alle stelle la disoccupazione, la povertà e la criminalità. Per ridare lustro alla Francia egli ritiene che la cosa più urgente da fare – oltre a garantire una maggior indipendenza al Paese rispetto all’Unione europea e alle sue corti di giustizia e pure rispetto alla NATO, a suo dire troppo sottomessa agli americani - sia quella di bloccare l’immigrazione (specialmente quella di matrice islamica),
riconquistare quei numerosi territori francesi che sono stati “occupati e colonizzati” dall’islam ed espellere i criminali stranieri e quegli immigrati che non amano la Francia e rifiutano l’assimilazione.

Due temi, quelli dell’immigrazione e dei pericoli derivanti dall’islamizzazione, che in precedenza erano stati sottovalutati un po’ da tutti i candidati alle presidenziali ed erano praticamente assenti dai dibattiti, ma il crescente successo di Zemmour ha obbligato un po’ tutti i candidati del centro destra, compreso lo stesso Macron, a inserirli nella loro agenda politica e ad avanzare proposte radicali che dalle nostre parti sarebbero probabilmente considerate razziste.

L’ascesa di Zemmour è stata così rapida che la stragrande maggioranza dei ticinesi non ha mai sentito parlare di lui, come ho potuto verificare di persona discutendone con molte persone, anche perché stranamente la stampa nostrana – forse distratta dalla pandemia - lo ha ignorato. Eppure, per chi da anni segue con attenzione quel che accade in Francia, Zemmour non è certamente uno sconosciuto carneade. Tant’è vero che già nella primavera scorsa egli era stato inserito dal Guastafeste fra i sei candidati di lingua francese al premio nazionale “Swiss Stop Islamization Award 2021” (pure quello ignorato dalla stampa mainstream…) che dal 2018 viene organizzato dal movimento allo scopo di ricompensare i critici dell’islam e gli avversari dell’islamizzazione.

Autore di molte opere che hanno suscitato polemiche, fra cui “Le Suicide français” (2014), Zemmour fa registrare dei record di ascolto a tutti i dibattiti televisivi o radiofonici a cui viene invitato. Dal 2019 partecipa regolarmente al programma televisivo “Face à l’info” (su CNews) che grazie alla sua presenza ha riscosso un enorme successo. Con coraggio e determinazione esprime pubblicamente le sue opinioni attirandosi non solo le simpatie di moltissimi francesi ma anche insulti, minacce e denunce miranti a farlo tacere. Nel 2011, nel 2018 e nel 2020 la giustizia francese lo ha condannato per provocazione alla discriminazione razziale e all’odio religioso verso i musulmani e verso l’islam: lui ha replicato che non si può più criticare l’offensiva islamista senza essere trattati da razzisti. Ecco alcune delle dichiarazioni che gli hanno fruttato delle condanne: “La maggior parte dei trafficanti di droga sono neri e arabi”. “Bisogna dare ai musulmani la scelta fra l’islam e la Francia”. “Tutti i musulmani, che lo ammettano oppure no, considerano che i jihaddisti sono dei buoni musulmani”. “Da 30 anni la Francia è oggetto di un’invasione”. “Nelle numerose periferie francesi, dove molte ragazze sono velate, è in corso una lotta, una guerra santa mirante a islamizzare il territorio”. “I musulmani sono un popolo che da colonizzato è diventato colonizzatore”. “Il velo islamico e la djellaba (tunica tradizionale) sono l’uniforme di un esercito di occupazione”.

In caso di elezione di Zemmour, secondo il quale non vi è alcuna differenza fra islam e islamismo (egli ama ripetere che l’islam è l’islamismo a riposo e l’islamismo è l’islam in movimento), si prospettano dunque tempi duri per quei musulmani che rifiutano di assimilarsi e che vorrebbero sostituire le leggi democratiche francesi con la sharia. E certamente vi sarebbero effetti a cascata anche su diversi altri Paesi europei, a cominciare dal Belgio.

Giorgio Ghiringhelli

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