Sport, 21 giugno 2021

“Anni di grande passione al fianco delle stelle”

Sergio Pellandini, unico ticinese che abbia mai corso il Mondiale della 500

Sergio Pellandini ha vissuto una vita sportiva piena di emozioni. Cresciuto a Castione, dai 19 anni in poi si è buttato anima e cuore sulle strade e sulle piste del mondo: dalla Gerra Piano-Medoscio ai mitici templi della velocità quali Monza piuttosto che Silverstone. Sette anni ricchi di pathos, successi, sconfitte e, pure, momenti altamente drammatici. Lui che sin da ragazzo aveva sognato di diventare un pilota e di gareggiare con i migliori. “Sono stati anni di grande passione, al fianco delle stelle del moto mondiale ” ci ha detto nei giorni scorsi al telefono. “Due soli nomi per capire. Kenny Roberts e Freddy Spencer”
aggiunge divertito.


Sperava in una carriera diversa, il buon Seo, una carriera più duratura. Ma invece non andò così. Dopo un inizio molto promettente nella categoria regina (500 ccm, l'attuale MotoGP). Il 31 luglio 1983 fu vittima di una brutta carambola nel Gran Premio d' Inghilterra che gli costò un lungo stop. “Ma non mi sono arreso, anche se la mia carriera ne fu condizionata”, ricorda. E non ha mollato nemmeno dopo l'incidente del quale fu vittima nel 2003. "Avevo 48 anni quando la mia vita cambiò. In sella ad una moto stavo guidando in direzione di Livigno, in Valtellina, quando mi sono scontrato con una auto che stava andando in contromano. Nell'incidente ho rotto il bacino ed ho subito una grave lesione ad un nervo di una gamba, procurandomi la paresi parziale della stessa. Per tre anni ho dovuto usare la sedia a rotelle e poi, finalmente, dopo tantissimi sforzi, fisioterapia e dedizione, sono riuscito a recuperare anche se ora cammino con le stampelle. Una volta vidi Clay Regazzoni ad una serata riservata ai piloti. Le sue battute e i suoi consigli mi diedero la forza per non mollare”.


Oggi Sergio vive a Cari, una sorta di buen retiro dove può rilassarsi e pensare alla vita senza stress. Ma la passione per le moto è ancora viva (a Castione è sempre attivo nella sua officina). Nei giorni scorsi lo abbiamo sentito per raccontare quella che è stata la sua grande avventura nel mondo della velocità su due ruote.


Sergio: da dove cominciamo?
Da quando, dopo aver ottenuto il diploma di meccanico, mi sono buttato nel mondo del lavoro aprendo un piccolo distributore a Bellinzona, nei pressi della Carmine Moto in via San Gottardo. Appena ventenne.
Grazie ai piccoli risparmi ho quindi realizzato il sogtto di avere una officina tutta mia. Stavo gettando le basi per il mio futuro. In quel momento non immaginavo che avrei imboccato la strada del Motomondiale.


Come antipasto, però, le corse in salita...
Avevo 19 anni quando debuttai su una moto da competizione. In realtà avrei potuto farlo un anno prima ma non aveva ancora l'età per avere la licenza per correre. Nel 1974 partecipai alla Gerra Piano-Medoscio, una gara in salita molto in auge a quei tempi. Passione e pubblico. Correvo con una Kawasaki 900 ccm.


Nel Motomondiale tutto cominciò in Sudamerica.
Nel Gran Premio del Venezuela del 1979, si correva sul circuito di San Carlos. In sella ad una Suzuki nella categoria 500 ccm. Mi pareva di toccare il cielo con un dito. Per un privato è sempre emozionante confrontarsi con quel mondo del tutto particolare e ricco di fascino. Va detto, comunque, che nel 1978 avevo partecipato alle prove del Gran Premio delle Nazioni della 350 ccm ma non
mi qualificai... Dal 1979 al 1984 corsi il Mondiale con la Suzuki 500 ccm. Gareggiavo come privato e potete dunque capire le differenze rispetto ai miei colleghi che pilotavano le moto fornite da team ufficiali. Un abisso. Eppure spesso ce la giocavamo alla pari...


Il 1983: una stagione da incorniciare a livello di risultati.
La mia stagione migliore: ottenni tanti buoni risultati, ero il miglior privato del Motomondiale della classe regina. Venni simbolicamente eletto campione del mondo dei privati. Per me fu un momento indimenticabile. In quegli anni mi accorsi della straordinaria bravura di alcuni piloti di cui si parla ancora oggi. Kenny Roberts, Freddy Spencer, Randy Mamola, Eddy Lawson. Incontrarli in pista era una emozione unica. Fuori erano ragazzi semplici, che non facevano di certo pesare la loro fama.


Un anno, comunque, anche drammatico.
Sempre nel 1983 l'infortunio ad Assen di Franco Uncini mi permise di entrare in un team ufficiale. Gallina mi mise a disposizione una moto con la quale avrei dovuto correre a Silverstone. Ero al settimo cielo.
Faccio notare, per altro, che prima del GP inglese ero andato a punti insei occasioni. Ma torniamo a Silverstone: dopo essere scattato dalla prima fila, nella prima manchechiudo in nona posizione. Ma nella seconda le cose vanno meglio al punto che risalgo al quinto posto. Purtroppo però la mia giornata viene rovinata da una brutta caduta che mi causa la frattura esposta alla caviglia della gamba destra. Un momento drammatico, la mia carriera subiva un brutto contraccolpo. Sul più bello mi fermavo. Ma non mi sono arreso, anche peivhé non sono uno che si lascia andare.


Quel giorno a Silverstone avvenne una terribile tragedia.
Nella 500 ccm morirono infatti due piloti: Peter Huber e Norman Brown, entrambi giovani. Fu uno choc per tutti. All'epoca la sicurezza non era certamente paragonabile a quella attuale. Ma non ricorderò il 1983 solo per quei brutti momenti: ci fu anche un momento di luce con la vittoria la 24 ore di Le Mans insieme al connazionale Jacques Cornu e al francese Gerard Coudray.


Lei segue ancore i Gran Premi?
Vado ancora alle corse, ma soprattutto in paesi lontanti tipo Malesia, Australia o Giappone, dove c’è meno gente ai box rispetto all'Europa e si può girare meglio. Da qualche anno a questa parte, comunque, sono presissimo da una nuova passione: vado in giro per il Continente a bordo di un side-cars del 1952 , con il quale sono pure arrivato sino ad Edimburgo in Scozia. In tre settimane ho fatto oltre tremila chilometri.


A proposito di attualità: cosa ne pensa del recente incidente di Dupasquier?
Purtroppo una terribile fatalità. Oggi le piste sono sempre più sicure ma se cadi e ti arriva addosso una moto sei esposto ad un gravissimo rischio. Soprattutto se una ruota ti colpisce alla testa. Come capitò a Simoncelli, Dupasquier è stato toccato in una parte vitale.


E Valentino Rossi che arranca in gruppo?
Certo, vederlo dietro non è bello. Ma se ha ancora voglia è giusto che continui. Lui adesso ha in mente il suo team. Il fatto poi che abbia formato piloti come Bagnaia, Morbidelli e il fratello Marini è motivo di grande orgoglio per il pesarese.

MAURO ANTONINI

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