Visionario, lungimirante, quasi sempre fuori dagli schemi (anche a costo di qualche eccesso dialettico), Renzetti ha costruito a sua immagine e somiglianza una squadra in grado di lottare contro le potenze calcistiche nazionali ma soprattutto una società finalmente all’altezza della situazione e al passo con i tempi. Battagliero, sempre sul pezzo (come ama dire), ha cercato di combattere il conservatorismo che imbriglia il calcio svizzero e del quale si farebbea meno volentieri.
“Sono entrato nel Lugano con il 20% delle azioni nel 2010 – ci aveva detto tempo fa - Ero reduce dall’esperienza di Pescara finita male. Un periodo comunque bellissimo e in cui imparai parecchie cose che mi sarebbero poi servite durante la presidenza luganese”. Una presidenza fatta di alti e bassi nella prima fase, quella che va dal 2010 al 2015 e in cui Angelo, che pagava l’apprendistato, fece fatica ad entrare nel cuore della gente. Le sue scelte non furono apprezzate: in cinque anni cacciò Schällibaum, reo di far giocar male la squadra, Pane e Morandi, l’enfant prodige. Salvioni se ne andò per motivi famigliari. Fu un periodo di sofferenza, anche perché il socio Enrico Preziosi si stava defilando. Poi nel 2015 il presidente ingaggia Livio Bordoli, un verzaschese dalla testa dura. Tecnico pragmatico ed efficace, porterà il Lugano in Super League (dalla quale mancava da una vita).
Ma nel club non
c`è pace: il nuovo socio di minoranza il procuratore Pablo Bentancur spesso non è sintonia con Renzetti e le polemiche sono all’ordine del giorno. Per fortuna la squadra gira e viene promossa. Sullo sfondo anche una brutta storia di soldi promessi allo Sciaffusa per vincere contro il Servette, avversario diretto nella lotta per salire nella massima serie.
Poi nell’estate 2015 Renzetti si supera: va in treno a Roma per convincere Zdenek Zeman ad allenare il Lugano. È sempre stato una amante del bel gioco, il presidente, e nel corso degli anni a seguire non farà nulla per nasconderlo. Missione compiuta, il maestro arriva e accende gli entusiasmi. Dalla finale di Coppa persa sciaguratamente contro lo Zurigo (che era stato appena relegato in B) ai giorni nostri, Il Lugano crescerà in modo esponenziale.
Poi nell’estate 2015 Renzetti si supera: va in treno a Roma per convincere Zdenek Zeman ad allenare il Lugano. È sempre stato una amante del bel gioco, il presidente, e nel corso degli anni a seguire non farà nulla per nasconderlo. Missione compiuta, il maestro arriva e accende gli entusiasmi. Dalla finale di Coppa persa sciaguratamente contro lo Zurigo (che era stato appena relegato in B) ai giorni nostri, Il Lugano crescerà in modo esponenziale.
“Ci siamo dati una struttura amministrativa e gestionale molto solida”, dice Renzetti. Ma non solo: i bianconeri accederanno due volte in Europa League (2017 e 2019). Con il patron che non perde tuttavia il brutto vizio di cambiare il tecnico come si cambiano i calzini. Dalla fine dal 2015 ai giorni nostri ne passeranno cinque: Zeman e Tramezzani lasceranno per volontà propria mentre Tami, Abascal e Celestini vengono messi alla porta.
“Ho cambiato troppo? L’ho fatto per il bene della squadra e del club. La Super League è un bene troppo importante, per noi e per il Ticino”, afferma Angelo. Ma il capolinea giunge anche per Renzetti, che nei giorni scorsi ha annunciato di aver ceduto le sue quote ad una cordata italo-brasiliana. Resterà come presidente ma per traghettare il club verso la nuova dirigenza e per “lottare come un leone” per il Polo Sportivo, imprescindibile per il calcio cittadino e senza il quale l’FCL sarà costretto a fare le valigie e tornarsene fra i cadetti.
Ma il presidente (ormai ex) ci crede. E in fondo come non dargli credito? Lui l’impresa l’ha già compiuta. Un’altra non sarebbe male…
RED.