Svizzera, 11 maggio 2021

I furbetti del sussidio cantonale hanno rubato più di 10 milioni

*Articolo dal Mattino della Domenica. A cura di Mauro Giacometti

L’occasione fa l’uomo ladro. E quale migliore occasione che fa aguzzare l’ingegno ai furbetti del COVID dei milioni di franchi stanziati dalla Confederazione per contrastare la pandemia, intascandosi truffaldinamente contributi e indennità? È di qualche settimana fa il bilancio del maltolto in Ticino con oltre 50 incarti aperti da Ministero pubblico e Polizia cantonale per presunti illeciti legati alla concessione dei crediti COVID (per un totale di circa 10 milioni di franchi truffati) e più di trenta segnalazioni per possibili abusi nell’ambito delle indennità per il lavoro ridotto. Sono alcune delle cifre legate a fenomeni sviluppatisi all’ombra della pandemia che confermano la capacità della criminalità economica e finanziaria di adattarsi rapidamente ed in maniera versatile a nuovi scenari. Ma non è finita, come ci conferma il Procuratore generale sostituto (Sezione reati economico finanziari) Andrea Maria Balerna che ha coordinato la “task force” cantonale sulle truffe COVID: “ È difficile fare stime, ma è prudente aspettarsi almeno una ventina di nuovi casi entro fine anno”.
 

Mille casi in Svizzera
 

A livello svizzero siamo a quasi un migliaio di casi di abusi individuati (954 per la precisione) per un ammontare di oltre 130 milioni di franchi erogati a società o imprese che non avevano diritto ai prestiti garantiti o, peggio, che si sono intascati illecitamente i contributi federali destinati ad aiutare le imprese durante i periodi di lockdown. E come ci conferma la Segreteria di Stato dell’Economia (SECO), l’organismo federale che vigila sull’erogazione dei prestiti e delle fideiussioni COVID, ci sono solo un centinaio di casi che si sono conclusi con una condanna penale per circa 8,7 milioni di franchi recuperati (dati costantemente aggiornati sul sito www.covid19.easygov.swiss/it). Il reato più gettonato è quello che riguarda le false o gonfiate dichiarazioni del giro d’affari previste dall’articolo 7 dell’Ordinanza del 25 marzo 2020 concernente la concessione di crediti e fideiussioni solidali in seguito al coronavirus: l’importo totale garantito conformemente agli articoli 3 e 4 ammonta al massimo al 10 per cento della cifra d’affari realizzata dal richiedente nel 2019. In assenza del conto annuale definitivo del 2019, fa stato la versione provvisoria o, in mancanza anche di questa, la cifra d’affari del 2018. In buona sostanza, dichiarazioni di giri d’affari fasulli o alterati in circa 2.600 dei 3.850 casi “inchiestati” con circa 24 milioni di franchi dichiarati illecitamente dei quali solo un milione è stato recuperato dopo la conclusione dell’accertamento o tramite una condanna penale.
 

Le denunce da Berna
 

Come

evidenziato nella conferenza stampa indetta qualche settimana fa dal Ministero pubblico e dalla Polizia cantonale, in Ticino la maggior parte delle denunce è giunta dalle banche stesse tramite l’Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro (MROS). L’aggiornamento al mese d’aprile dei dati in materia di riciclaggio, a livello svizzero, parla di circa 1.400 comunicazioni sospette per un ammontare di circa 180 milioni di importi erogati. Gli importi spaziano da poche migliaia ad oltre un milione e mezzo di franchi. In Ticino, il denaro sin qui sequestrato o già restituito agli istituti di credito ammonta a circa il 30% del totale del maltolto che come detto, è di circa 10 milioni. Sempre guardando alle cifre, e riferendosi ancora al Ticino, le persone indagate sono più di novanta di cui 13 toccate dalle misure di carcerazione preventiva. “ Sotto la lente delle autorità – ha spiegato ancora il magistrato – sono finite diverse tipologie di possibili infrazioni: si va dalle indicazioni false nella richiesta di credito all’utilizzo degli importi ricevuti per finalità estranee agli scopi delle misure di sostegno”.
 

Ritratto dei furbetti
 

Ma chi sono questi furbetti della fideiussione o delle false indennità? Sono svizzeri, stranieri? Impossibile a priori stabilirne la nazionalità, come ci precisa la SECO: “I prestiti Covid-19 sono stati concessi alle aziende. Non era e non è necessario dichiarare la nazionalità degli amministratori delegati, dei dipendenti o degli azionisti delle società”, ci dice il portavoce Fabian Maienfisch. La stessa riservatezza ci viene confermata dal Ministero pubblico ticinese che non monitora la nazionalità di indagati e condannati. E allora? Per avere una qualche risposta occorre frequentare le aule dei tribunali (nei casi più gravi) o leggere le sentenze che si concludono con un decreto d’accusa e dunque una pena che non supera i sei mesi di carcere (o l’equivalente in pena pecuniaria). Era certamente italiano, residente nel Luganese, l’uomo d’affari che ha gonfiato i conti delle sue due società per ottenere dalla Confederazione prestiti COVID per un totale di 660’000 franchi, spesi in parte per comprare una macchina di lusso (Range Rover) e orologi costosi: un Rolex e un paio di Omega.
 

L’uomo - che nel frattempo ha rimborsato parte del maltolto - è stato condannato a 28 mesi di carcere di cui 8 da espiare ed è stato espulso per cinque anni. Sempre italiani e residenti nel Mendrisiotto, i due imprenditori arrestati in gennaio perché sospettati di aver fornito alle banche false informazioni sulle loro società per poter accedere ai crediti COVID in misura di quasi mezzo milione di franchi.

*Edizione del 9 maggio 2021


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