La vicenda emerge grazie a due sentenze del TAF pubblicate in questi giorni. Da esse si evince che i due cittadini italiani – classe 1965 lui, classe 1964 lei – avevano chiesto e ottenuto un permesso B nel 2012, per lavorare presso una società attiva nel commercio di veicoli, da loro stessi aperta.
Prima di ottenere i rispettivi permessi, l’uomo e la donna (che non sono marito e moglie) avevano entrambi compilato un’autocertificazione con la quale assicuravano di essere incensurati e di non avere procedimenti penali pendenti.
Nel 2014 una cittadina italiana si era rivolta alla Polizia cantonale per segnalare che aveva denunciato l’uomo in Italia (“perché mi deve dei soldi”) e per avvertire che sia lui sia la donna non vivevano nella località ticinese indicata sul permesso di dimora bensì in Italia. Essi avevano aperto una società in Ticino, spiegava la donna, “unicamente per ottenere il permesso di dimora” e quindi “per evitare problemi giudiziari in Italia”.
La Polizia cantonale aveva effettuato delle verifiche, aveva sentito i due cittadini italiani e aveva infine inviato all’Ufficio della migrazione un rapporto di segnalazione per “dimora fittizia in territorio svizzero”.
Era infatti emerso che entrambi - nel frattempo finiti in disoccupazione vista l’apertura della procedura di liquidazione della loro società – non vivevano in Ticino bensì in Italia.
Allora, sempre nel 2014, l’Ufficio della migrazione aveva richiesto alle autorità italiane di fornirgli l’estratto del casellario giudiziale delle due persone in questione. Era così emerso che entrambi erano già stati condannati in Italia.
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In particolare lui era stato condannato a un anno e undici mesi di reclusione, sospesi con la condizionale, per cinque bancarotte fraudolente e altri reati. Lei invece era stata condannata un anno di reclusione, sempre con la condizionale, per due bancarotte fraudolente. Entrambi avevano inoltre sulle spalle ulteriori reati minori.
A questo punto - dopo aver fatto effettuare dalla Polizia comunale di Locarno ulteriori controlli al presunto domicilio dei due cittadini italiani e dopo averli interpellati - l’Ufficio della migrazione aveva deciso di revocare i loro permessi di dimora.
Il Consiglio di Stato, su ricorso, aveva confermato la decisione, evidenziando inoltre che la società dei due cittadini italiani era fallita e che loro avevano quindi perso lo statuto di lavoratore. Pure il Tribunale amministrativo cantonale, nel 2018, era stato dello stesso avviso.
Nel 2019 è quindi entrata in scena la SEM, che dopo aver approfondito i fatti ha deciso di emettere dei divieti d’entrata in Svizzera per tre anni nei confronti dei due cittadini italiani. A loro veniva rimproverato di aver “ingannato le autorità”. Inoltre si sottolineava che, alla luce dei loro precedenti in Italia, essi rappresentavano “una grave minaccia reale e attuale della sicurezza e dell’ordine pubblici”.
Il TAF, cui i due cittadini italiani si sono rivolti per contestare i rispettivi divieti d’entrata, è però stato di altro avviso. Come si legge nelle sentenze di recente pubblicazione, i giudici hanno ritenuto che i reati da loro commessi fossero relativamente lontani nel tempo (l’ultima condanna nel 2006) e hanno evidenziato che in Svizzera sono incensurati.
A detta del TAF, quindi, un divieto d’entrata di 3 anni non era proporzionale. Per questo motivo i giudici hanno deciso di anticipare la scadenza del divieto d’entrata al giorno della sentenza. I due cittadini italiano non dovranno quindi aspettare il 2022 per tornare in Svizzera ma potranno farlo già subito.
La SEM dovrà inoltre rifondere loro un’indennità ridotta di 1'000 franchi a titolo di ripetibili.
A questo punto - dopo aver fatto effettuare dalla Polizia comunale di Locarno ulteriori controlli al presunto domicilio dei due cittadini italiani e dopo averli interpellati - l’Ufficio della migrazione aveva deciso di revocare i loro permessi di dimora.
Il Consiglio di Stato, su ricorso, aveva confermato la decisione, evidenziando inoltre che la società dei due cittadini italiani era fallita e che loro avevano quindi perso lo statuto di lavoratore. Pure il Tribunale amministrativo cantonale, nel 2018, era stato dello stesso avviso.
Nel 2019 è quindi entrata in scena la SEM, che dopo aver approfondito i fatti ha deciso di emettere dei divieti d’entrata in Svizzera per tre anni nei confronti dei due cittadini italiani. A loro veniva rimproverato di aver “ingannato le autorità”. Inoltre si sottolineava che, alla luce dei loro precedenti in Italia, essi rappresentavano “una grave minaccia reale e attuale della sicurezza e dell’ordine pubblici”.
Il TAF, cui i due cittadini italiani si sono rivolti per contestare i rispettivi divieti d’entrata, è però stato di altro avviso. Come si legge nelle sentenze di recente pubblicazione, i giudici hanno ritenuto che i reati da loro commessi fossero relativamente lontani nel tempo (l’ultima condanna nel 2006) e hanno evidenziato che in Svizzera sono incensurati.
A detta del TAF, quindi, un divieto d’entrata di 3 anni non era proporzionale. Per questo motivo i giudici hanno deciso di anticipare la scadenza del divieto d’entrata al giorno della sentenza. I due cittadini italiano non dovranno quindi aspettare il 2022 per tornare in Svizzera ma potranno farlo già subito.
La SEM dovrà inoltre rifondere loro un’indennità ridotta di 1'000 franchi a titolo di ripetibili.
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