di Michele Foletti
Tutti noi ne eravamo consapevoli, ma nessuno di noi avrebbe mai voluto che il momento arrivasse. Invece, ineluttabilmente, domenica mattina è arrivata la notizia: Attilio ci aveva lasciati. E credo che mai come in questo caso il verbo lasciare sia più opportuno. Ci siamo sentiti lasciati a noi stessi, orfani di un punto di riferimento che – ancorché divenuto discreto – aveva ancora tutta la sua forza e il suo carisma.
Per noi membri del gruppo parlamentare della Lega, Attilio era “il capogruppo” anche se formalmente non lo era più avendo lasciato il ruolo istituzionale prima a me, poi a Daniele e poi ancora a me quando Daniele è diventato vicepresidente del Gran Consiglio.
Ricordo quando all’inizio di questa legislatura, usciti indeboliti dalle elezioni, il gruppo rischiava di dividersi nella scelta dei propri rappresentanti: Attilio senza troppi giri di parole ha detto a tutti quello che pensava di ognuno di noi; e le sue parole ci hanno permesso di riflettere, fare un esame di coscienza e metterci d’accordo senza rancori o divisioni.
Lui era così, era presente, ma non invadente. Era fermo e autorevole, ma non autoritario. E alla fine facevamo quello che lui consigliava.
Lo stesso stile lo aveva nell’azione politica in Gran Consiglio. Lui era stato eletto in Gran Consiglio nel 1991, io sono entrato nel ’95. Poi nel 2003 abbiamo iniziato a lavorare assieme nella commissione delle gestione e delle finanze e lì ho capito il