Mondo, 05 agosto 2019

Presenza indesiderata: Perchè in Eritrea i cristiani sono in pericolo

Tempi duri per chi si professa cristiano in Eritrea. La prima metà del 2019 ha visto un’improvvisa stretta del governo sulla Chiesa, colpendo sia la comunità ortodossa che quella cattolica in nome di un processo di “nazionalizzazione” che, in molti temono, potrebbe non essere altro che una violenta reazione del presidente Isaias Afewerki alla richiesta (giuntagli proprio dall’ambiente ecclesiastico) di maggiori riforme e liberalizzazioni. Il regime, al potere dal 1993, ha infatti preso di mira numerosi beni di proprietà dei religiosi locali, oltre ad effettuare ripetutamente arresti e retate ai danni del clero e dei fedeli. Tentativo di intimidazione o l’inizio di una repressione definitiva?

Una voce fuori dal coro

Secondo le più recenti stime, in Eritrea è cristiana circa la metà della popolazione (il restante 48% è invece musulmano). I credenti sono a loro volta ripartiti in quattro confessioni: ortodossa, cattolica romana, cattolica eritrea ed evangelica. Quest’ultima è l’unica religione di stampo protestante a essere ufficialmente riconosciuta dalle autorità, che sin dal 2002 hanno dichiarato fuorilegge ogni altra corrente. La Chiesa ortodossa, la confessione cristiana più diffusa, è stata la religione praticata dalla maggior parte degli eritrei sin dal IV secolo, e mantiene ancor oggi stretti legami con la sua controparte etiope e con il Patriarcato copto di Alessandria. La sua importanza nel tessuto sociale del Paese è da sempre molto forte, e si è fatta sentire in particolare dopo il 1993, anno in cui l’Eritrea ha ottenuto l’indipendenza dall’Etiopia.

Per questo motivo, molti eritrei ritengono la Chiesa l’unico bastione possibile a un governo che, nel corso degli anni, ha impresso una direzione sempre più autoritaria alle proprie politiche: un coraggioso esempio è rappresentato dal patriarca Antonios, che nel 2006 è stato messo agli arresti domiciliari per aver rifiutato di scomunicare un movimento critico al regime, nato nell’ambiente delle scuole domenicali. Dopo 13 anni di confino forzato, lo scorso 19 luglio Antonios è stato ufficialmente espulsodalla Chiesa ortodossa con una lettera firmata da alcuni tra i vescovi più in vista nel Paese. L’accusa è quella di eresia, ma la vera ragione potrebbe trovarsi in un video girato lo scorso aprile, nel quale l’anziano religioso si rivolge in modo estremamente critico al laico Yoftahe Dimetros, colui che molti ritengono l’uomo di Afewerki all’interno della Chiesa ortodossa: quest’ultima è peraltro priva di patriarca sin dal 2015, anno della morte di Abune Dioskoros, e si teme che tale vuoto di potere sia una scelta deliberata di Asmara a vantaggio dello stesso Dimetros.

“Ci penserà lo Stato”

L’esplusione di Antonios arriva contemporaneamente a un’altra triste notizia per la Chiesa eritrea: agli inizi di luglio, il governo ha infatti disposto la confisca di 22 centri sanitari e di primo soccorso di proprietà di organizzazioni e congregazioni cattoliche: luoghi che per parte della popolazione (circa il 6% degli eritrei) costituivano l’unica possibilità di accesso a cure mediche essenziali, e che si sommano ad altri 8 ospedali che il regime ha espropriato tra il 2017 e il 2018.

Fonti da Asmara assicurano
che nessuno di essi cesserà le proprie funzioni, e che si è trattato semplicemente di un cambio di gestione, ma la gran parte di essi è stata sigillata e chiusa al pubblico direttamente da rappresentanti delle forze armate -che hanno preteso la consegna delle chiavi ricorrendo anche all’uso della forza– insieme alle residenze dei religiosi che li gestivano (costretti a trasferirsi altrove). Si teme anche per le 50 scuole e per i 100 asili cattolici sparsi per il Paese, il cui destino resterà incerto sino all’inizio dell’anno scolastico, previsto per settembre. Lo scenario più fosco potrebbe essere quello di una chiusura di massa, seguita dal trasferimento degli scolari nelle scuole pubbliche già esistenti. Tecnicamente, l’eventualità di un esproprio di Stato è prevista da una legge del 1995, che afferma che Asmara ha il controllo di tutte le opere sociali e di fruizione pubblica, ma la sua effettiva messa in pratica era sempre stata posticipata. Sino ad oggi.

Una spirale di arresti e vendette

L’ipotesi che questa morsa sulla Chiesa sia una rappresaglia atta a danneggiare quelli che oramai Afewerki considera dei veri e propri oppositori è confermata dalle irruzioni e dagli arresti che sacerdoti e fedeli cristiani stanno subendo in queste settimane. A maggio, 30 pentecostali sono stati arrestati in diverse comunità nella città di Godeif; lo stesso destino è capitato a 141 cristiani (di cui 118 tra donne e bambini) a Mai Temenai, un distretto della capitale. Gran parte di essi è stata detenuta senza accuse formali, e soltanto una cinquantina di fedeli è stata ad oggi rilasciata. Nel frattempo l’arcivescovo di Asmara, Abune Menghesteab Tesfamariam, ha indetto diciassette giorni di digiuno e preghiera in segno di protesta per i recenti espropri ai danni della comunità cattolica, come riporta l’agenzia di stampa vaticana Vatican News.

L’appello di Tesfamariam giunge dopo che lo scorso 29 aprile i quattro vescovi del Paese avevano siglato una lettera pastorale che esortava il governo a intraprendere riforme e cambiamenti, sfruttando la nuova era sociale e politica apertasi dopo la firma del trattato di pace con l’Etiopia del luglio 2019, allo scopo di “fermare l’emigrazione dei nostri giovani e rispettare i diritti di ognuno”. Una situazione simile a quanto successo nel caso del patriarca Antonios, che dopo aver espresso il suo dissenso è stato improvvisamente rimosso da ogni carica, e tutt’altro che una semplice coincidenza. Per questi motivi, la responsabile dell’Onu per il monitoraggio della situazione umanitaria in Eritrea, la cilena Daniela Kravetz, ha parlato apertamente di “persecuzione contro i cristiani”.

Non è chiaro come intenda procedere la comunità internazionale: non sono mancati gli appelli a fare un passo indietro da parte del Vaticano e dei principali osservatori per i diritti umani, ma si tratta di voci isolate: sembra chiaro come Afewerki non abbia nessuna intenzione di cambiare idea. Il quadro resta dunque estremamente fosco, e non si possono escludere nuovi arresti o tentativi di porre il clero, anche quello cattolico, sotto controllo attraverso la nomina di personaggi graditi al regime, di fatto nazionalizzando completamente la sfera religiosa del Paese. Mala tempora currunt.

Marco Meneghetti / insideover.it

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