Mondo, 20 aprile 2019

Smollett, la bufala dell’attacco razzista e il flop dei media Usa

Ennesima figuraccia per la sinistra politically correct americana che ha sostenuto l’attacco anti Trump dell’attore gay e afroamericano, Jussie Smollett. Il 29 gennaio scorso, la star della serie tv Empire e di Alien: Covenant dichiarò di essere stato vittima di un’aggressione a sfondo razziale. Secondo la sua ricostruzione, due uomini dal volto coperto lo avrebbero aggredito inneggiando al presidente degli Stati Uniti Donald Trump. 

“Questo è il Paese Maga”, acronimo di Make America Great Again, lo slogan della campagna elettorale del tycoon, avrebbero ripetuto più volte gli aggressori dell’attore, a suo dire aggredito e insultato per via dell’orientamento sessuale e del colore della pelle. Una settimana prima, il 22 gennaio, Smollett aveva denunciato alla polizia di Chicago di aver trovato davanti al suo portone un fantoccio appeso a un albero con una pistola puntata verso casa e le scritte “Jussie morirai”, e “Maga”. 

Ovviamente la colpa per i media liberal e per l’opinione pubblica progressista, ancora prima di aver accertato i fatti, era di Donald Trump, salvo poi scoprire che Jussie Smollett si era inventato tutto e aveva ingaggiato due picchiatori per inscenare l’aggressione a sfondo razziale. 
Jussie Smollett rischia una multa salata per aver mentito

Come riporta La Stampa, la vicenda sembrava destinata all’ennesimo caso mediatico quando, con un colpo di scena, le indagini della polizia arrivarono alla conclusione che non era successo nulla, ed era stato messo in scena tutto da Smollett, il quale aveva pagato 3.500 dollari a due fratelli nigeriani perché simulassero l’ assalto. Nel giro di un mese l’ attore è stato arrestato e imputato per 16 capi di accusa  – poi ritirate in blocco il 29 marzo scorso. 

L’attore di Empire, tuttavia, rischia di pagare una multa da 130 mila dollari.

Come scrive Variety, il Dipartimento di Giurisprudenza della città ha inviato a Smollett il conto e gli ha dato una settimana di tempo per pagare. Termine poi scaduto, tant’è che il Dipartimento legale ha rilasciato un comunicato
in cui annuncia di voler citare in giudizio l’attore. Jussie Smollett “si è rifiutato di rimborsare alla città di Chicago i costi del suo falso rapporto alla polizia del 29 gennaio 2019” si legge nella dichiarazione. “Il Dipartimento legale sta elaborando un reclamo civile e la causa sarà presentata nel prossimo futuro”. 

Poiché l’attore si è rifiutato di pagare gli iniziali 130mila dollari di multa entro i termini stabiliti, ora la città di Chicago potrebbe chiedere un risarcimento danni pari al triplo del valore iniziale, cioè 390 mila dollari. 

La stampa liberal aveva già un colpevole: Donald Trump

Per i progressisti il colpevole era chiaramente lui, Donald Trump. Tutta colpa sua, secondo la consueta narrativa politcally correct, l’intollerabile clima d’odio che ha portato all’aggressione di Jussie Smollett. Un prevedibilissimo riflesso pavloniano tipico della sinistra. Lo stesso sindaco di Chicago Rahm Emanuel, invece di prendersela con l’attore che ha preso in giro la sua città, la polizia e milioni di americani, ha accusato il presidente Trump di fomentare un “ambiente pieno di odio”. Chiaro no?

La bufala di Smollett, osserva The Hill, ha portato alla luce il doppio standard dei media liberal e il loro ruolo di propagandisti. Come riporta  GQ, che prima aveva sentenziato che “quando uno dei più famosi uomini neri e gay in America non è al sicuro, il messaggio è più chiaro di quanto non sia mai stato”, salvo poi ritrattare in maniera imbarazzante una volta appurati i fatti. 
È stato solo grazie bravura dei giornalisti locali e all’eccellente lavoro investigativo del dipartimento di polizia di Chicago, sottolinea sempre The Hill, se abbiamo scoperto la verità dietro le assurde affermazioni di Smollett. La sua bufala  ci ricorda che la partigianeria può rendere ciechi alla verità. Perché se la reputazione dell’attore è compromessa, anche quella dei media e dell’opinione pubblica politically correct non scherza. 

(Via gliocchidellaguerra.it)

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