Svizzera, 19 marzo 2019

Kosovara naturalizzata svizzera rapita dalla famiglia perchè aveva una relazione con uno straniero

"Nella peggiore delle ipotesi, mi aspettavo che la mia famiglia non mi parlasse più..." ma non è esattamente quello che è successo. Lunedì davanti alla Corte di Vevey, nel canton Vaud, Valentina (nome di fantasia), una ragazza kosovara naturalizzata svizzera, non ha potuto trattenere le lacrime mentre raccontava ciò che ha vissuto.

Come riferisce il portale romando "24 heures" la giovane sostiene di essere stata sedata, rapita e portata nel suo paese d'origine perchè aveva una relazione con un ragazzo straniero. Sullo sfondo di tradizioni ancestrali, rivalità claniche, di confessioni parziali, la vicenda si prospetta particolarmente difficile da giudicare per il tribunale di Vevey.

I fatti risalgono alla primavera del 2014. Allora 20enne, Valentina, una commessa apprendista, è innamorata di un giovane italiano che lavora nello suo stesso centro commerciale. Sapendo che una relazione con un non-Kosovaro dispiacerebbe alla sua famiglia, lei cerca di tenere nascosta la relazione, ma senza successo.

Un sabato pomeriggio, poco prima della chiusura del negozio in cui la ragazza lavorava, arriva uno dei suoi zii. Dice che sua madre è in ospedale e gli chiede di seguirlo. Ma lui la conduce nel suo appartamento, fingendo di dover prendere le chiavi della macchina. A quel punto gli parla vagamente di una disputa famigliare. Non sa che sua madre non è in ospedale, ma che i suoi genitori sono a casa, nello stesso edificio, e che si stavano preparando a rapirla per riportarla in Kosovo.

Valentina riferisce che verso le 22:00 le è stato somministrato un tè freddo contenente un sedativo. Si addormenta sul divano. Suo zio la prende e la porta in una mercedes che aspettava, con al volante suo padre, e la riportano in Kosovo. Valentina sostiene che durante il viaggio l'hanno minacciata di morte per costringerla a ingoiare una compressa che avrebbe dovuto farla
addormentare per diverse ore. Si risveglia nella casa dei suoi nonni materni, in una piccola città nell'ovest del paese.

"Non ero rinchiusa, ma sorvegliata costantemente", racconta. Mio nonno disse che se avessi provato a fuggire non avrebbe esitato a spararmi. Ma dove avrei potuto scappare?" Valentina spiega che è stata portata due volte a "consultare" un imam per risolvere il suo "problema", mentre un'altra volta è stata portata da una donna per "ricevere incantesimi".

La ragazza aggiunge che durante il suo soggiorno è stata violentata da un altro zio, che è oggetto di un'inchiesta separata. La sua scomparsa in Svizzera nel frattempo è stata segnalata dall'istituto che la giovane frequentava. Lei avrà trascorso 16 giorni in Kosovo. Uno degli ispettori della polizia vodese inviati a casa ha sentimenti contrastanti sulla collaborazione delle autorità locali: "Ho capito che siamo stati fortunati a recuperarla".

Di fronte ai giudici, le spiegazioni dello zio fanno fatica a convincere. "No, non c'era alcun desiderio generale della famiglia di porre fine a questa relazione". Per lui, sua nipote "fa cinema". Quando uno degli avvocati difensori fa notare alla denunciante che molti dei suoi parenti hanno sposato non kosovari, lei risponde: "Sì, ma è stato solo per interesse".

Il padre di Valentina, anche lui naturalizzato svizzero, di professione autista, ritiene di essere stato manipolato in questa storia. Avrebbe creduto a qualcuno che gli diceva che sua figlia era in pericolo perché usciva con un tossicodipendente. Se inizialmente ha ammesso di aver portato la figlia in Kosovo, sostiene che era per paura di rappresaglie da parte di persone per le quali l'unione con uno straniero doveva essere vietata. La sentenza del processo sarà emessa prossimamente.

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