Svizzera, 03 settembre 2024

La scuola insegna sempre meno “Troppi ragazzi impreparati”

Lunedì si è tornati sui banchi. Ma i problemi del sistema educativo restano irrisolti

LUGANO - È una scuola pubblica sempre più debole quella che lunedì ha accolto i nostri figli per, in teoria, educarli e prepararli ad entrare nella società. In teoria. Perché nonostante una spesa schizzata alle stelle (solo in Ticino si spendono oltre 1,269 miliardi di franchi l’anno per l’educazione) i risultati sono sempre più scadenti. La scuola “inclusiva” perde parecchi allievi per strada, mentre tanti altri arrivano alle soglie del mondo del lavoro senza le capacità che dovrebbero consentire loro di effettuare il salto.
Uno su quattro non sa leggere. 



Già l’ultima edizione del rapporto PISA aveva lanciato l’allarme, evidenziando che in matematica “quasi un quinto delle allieve e degli allievi in Svizzera non raggiunge le competenze minime descritte dall’OCSE”, mentre in lettura questa proporzione è addirittura del 25%! Ma i dirigenti dei dipartimenti dell’educazione continuano a crogiolarsi nell’idea che il nostro Paese offra una formazione di qualità. Sì, per i loro conti in banca sicuramente, ma per il bene degli allievi sempre di meno.


La situazione è preoccupante, non solo in Ticino ma in tutta la Svizzera. Domenica scorsa la NZZ am Sonntag ha dedicato un ampio servizio alla questione del peggioramento generale del rendimento scolastico. “ I bambini leggono e calcolano peggio, i datori di lavoro si lamentano delle scarse competenze dei giovani e i docenti sono esauriti. Cosa non sta funzionando nelle scuole?”, si chiede il giornale zurighese.


Interpellando vari esperti e addetti ai lavori, la NZZ am Sonntag ha finito per trovare otto problematiche. Otto aspetti del sistema scolastico che andrebbero rivisti, se si vuole invertire la rotta di questa scuola naufragante. Il primo punto, non stupisce, è quello dell’inclusione spinta all’eccesso. “ Il sistema sta raggiungendo i suoi limiti”, afferma Lena Aerni, presidente dell’Associazione degli insegnanti di Zurigo. Il problema è che, sulla carta, la scuola inclusiva dovrebbe permettere di non svantaggiare gli allievi che soffrono di una disabilità. Ma nella pratica a beneficiare di misure inclusive non sono solo i bambini disabili ma anche quelli con scarse capacità di apprendimento, quelli che disturbano in classe o ancora quelli che sono di lingua madre straniera. Il risultato è che ci sono classi dove più della metà degli allievi beneficia di misure inclusive. Una situazione che sovraccarica i docenti, penalizza gli allievi “normali” e non aiuta quelli bisognosi.


Il secondo problema, secondo la NZZ, è il precoce apprendimento di una seconda lingua, nel nostro caso il francese a partire dalla terza elementare. Spesso a quello stadio i bambini non sanno ancora nemmeno scrivere correttamente nella loro lingua materna. Aggiungerne una seconda rischia di essere inutile e controproducente. Molto meglio, secondo la NZZ, sarebbe investire di più sulla prima lingua. “ Quel poco di francese che imparano alle elementari – sostiene la linguista Simone Pfenninger – potrebbe essere recuperato senza problemi alle medie”.


Il terzo aspetto riguarda la scrittura. Oggi si tende a non più correggere ogni singolo errore di ortografia e i dettati sono passati di moda. Il risultato è che gli allievi scrivono sempre peggio. “ Non sarebbe possibile fare un dettato unico con la mia classe –dice un docente -. Alcuni allievi sarebbero del tutto insufficienti e altri sarebbero completamentesopraffatti”.


C’è poi il problema del materiale scolastico, che passerebbe troppo facilmente a un altro tema senza che i bambini abbiano avuto il tempo di praticare e metabolizzare quello precedente. “ Se si devono insegnare sempre più contenuti, non c’è tempo di consolidarli” sostiene l’ex direttore di liceo Carl Bossard. Quindi un’altra critica viene rivolta alla pratica di assegnare dei compiti agli allievi e pretendere che siano loro a gestirne la risoluzione. Secondo alcuni esperti, questo sistema ha il solo vantaggio di lasciare tempo libero ai docenti, mentre agli allievi causerebbe stress e agitazione.


Il sesto aspetto sollevato dalla NZZ è la crescente femminilizzazione della professione dell’insegnante e la conseguente diffusione dell’impiego a tempo parziale. Questo fa sì che spesso gli allievi non abbiano più un chiaro punto di riferimento ma si trovino confrontati con una pletora di figure professionali, tra docenti a metà tempo, insegnanti di musica, ginnastica, arti plastiche, logopediste e assistenti varie. “ Gli allievi imparano a sfruttare le nicchie di ognuna di loro”, sostiene un docente.


Il settimo punto – ma per ordine di importanza avrebbe potuto essere elencato prima – è la mancanza di autorità della scuola. Oggi nessuno dice più le cose come stanno, tutto deve essere positivo, si tende a non più rimproverare gli allievi né a sanzionarli o ancor meno biasimarli per paura che possano rimanerne traumatizzati. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, non solo a scuola ma anche e soprattutto nella società, confrontata con livelli di violenza giovanile mai visti prima. La logica conseguenza di un’educazione che ha rinunciato ad educare.


Infine vi è l’aspetto, purtroppo presente anche alle nostre latitudini, della differenziazione dei percorsi di studio e degli obiettivi da raggiungere. Gli allievi non vengono più valutati in maniera uniforme ma con metri di misura diversi, che tengano conto della sua situazione personale. In altre parole, due allievi che fanno un test allo stesso identico modo possono ricevere due note diverse perché uno era già bravo prima, mentre l’altro era considerato svantaggiato. Il modo migliore per creare ulteriore confusione.
Ma tant’è. L’anno scolastico è alle porte e, nonostante i deliri di certi dirigenti scolastici, vogliamo restare fiduciosi sapendo che, alla fine, a fare una buona scuola è un buon maestro. E di questi per fortuna ce ne sono ancora tanti.

M.C.

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