Sport, 19 aprile 2024

La monetina premia l’Italia: Facchetti, ma che fortuna!

Europeo, 10 racconti per la storia: Grazie all’insolita prassi di quei tempi, gli azzurri eliminarono i russi in semifinale

LUGANO - Siamo agli Europei del 1968, un anno di contestazioni. La piazza diventa la casa di tutti: studenti, operai, gente incazzata con il sistema. Sventolano bandiere rosse e bandiere raffiguranti un medico argentino rivoluzionario, il Che Guevara. La protesta monta da Est ad Ovest e tocca anche lo sport: alle Olimpiadi estive di Città del Messico gli americani Smith e Carlos alzano il pugno chiuso durante la premiazione dei 200 metri. Saranno squalificati. 



Siamo nel 1968, si diceva, e in Italia va in scena la mini-fase finale del massimo torneo continentale di calcio. Alle semifinali si sono qualificate Italia, Jugoslavia, Unione Sovietica e Inghilterra. A Firenze i balcanici, riuniti ancora sotto un’unica bandiera, eliminano i “maestri” (1-0) mentre nell’altra sfida, giocata a Napoli, avviene uno dei più incredibili casi della storia del football. Tanto per chiarire: azzurri e sovietici si lasciano sullo 0-0 dopo regolamentari e supplementari. Che succede dopo? Semplice, o quasi: visto che i calci di rigore non esistevano ancora, per definire il vincitore di una partita di un Europeo si deve ricorrere al lancio della monetina. Eh sì! A quei tempi non era prevista la ripetizione e allora si affida alla fortuna il passaggio di turno. Inutile dire che le squadre non vedevano di buon occhio questa soluzione che, diciamolo chiaramente, oggi fa sorridere e lascia pensosi. Ma siccome allora non si poteva fare diversamente, nessuno obiettò con sufficiente grinta.


Nel quadrangolare decisivo non era mai stato necessario andare oltre ai supplementari, mentre durante le qualificazioni si erano verificate situazioni di parità nelle sfide a eliminazione diretta con partite di andata e ritorno. Nella partita secca, come detto precedentemente, era previsto il lancio di una monetina. E così dopo Italia-Unione Sovietica i due capitani rientrano negli spogliatoi con l’arbitro mentre gli altri giocatori attendono in campo il verdetto, sotto lo sguardo timoroso dei tifosi presenti sugli spalti, il 99% dei quali sono italiani. La tensione degli azzurri è in parte attenuata dalla fiducia che nutrono nel loro capitano, visto che l’indimenticabile terzino nerazzurro ha la fama di essere fortunato. E quando Facchetti rientra in campo pochi minuti dopo per annunciare la vittoria, il San Paolo di Napoli esplode di gioia.


La monetina toglie, la monetina dà: ai Giochi Olimpici romani del 1960 il fatidico lancio era costato caro all’Italia, che dovette rinunciare alla finale perché la sorte in quel caso sorrise alla Jugoslavia, poi vincitrice sulla Danimarca.


Sul sorteggio di Italia-Unione Sovietica c’è tutta una letteratura. Una versione, la più polemica, è questa: l’arbitro estrasse dal taschino una monetina che però gli scivolò di mano finendo in un chiusino di scolo dell’acqua delle docce. Velocissimo, un dirigente azzurro (qualcuno fece il nome di Artemio Franchi) diede all’arbitro un’altra moneta, “Prego signor Facchetti – disse l’arbitro Tschenscher – scelga lei: testa o croce?”. Il dirigente sussurrò “ testa” al capitano azzurro e Facchetti annuì. Tschenscher lanciò così la moneta. Risultato? Testa! Qualcuno raccolse immediatamente l’oggetto che poi, chissà perché, sparì. Mistero. Ancora oggi i maligni narrano che si trattasse di una moneta con due “teste”. Insomma: dov’era la croce? Una storia inventata per gettare ombre sul successo degli azzurri? Non ci furono riscontri e nessuno, nemmeno i sovietici, avanzarono sospetti. Caso chiuso, anche se a qualcuno il dubbio è rimasto per parecchi anni. L’Italia si qualificò così per la finale, nella quale fu costretta a giocare due partite contro la Jugoslavia, che a quei tempi era definita il Brasile del continente europeo. Al contrario della semifinale, non ci fu nessuna monetina dopo la prima sfida (1-1). No, si rigiocò due giorni dopo e stavolta Mazzola e soci vinsero alla grande (2-0).


Per la cronaca: Ferruccio Valcareggi, spesso e volentieri criticato e vituperato da stampa e tifosi, per la finale-bis decise di rivoltare come un calzino la sua squadra con l’inserimento di cinque elementi nuovi e più freschi. Fuori Castano, Ferrini, Prati, Juliano e Lodetti dentro Salvadore, De Sisti, Rosato, Riva e Mazzola (quest’ultimi due lasciati clamorosamente fuori nella partita precedente). Grazie a questo stravolgimento tecnico-tattico, gli azzurri prevalsero contro una Jugoslavia stanca e imprecisa. E così dopo ben 30 anni l’Italia riusciva a imporsi nuovamente in un trofeo importante. Era dai Mondiali casalinghi del 1938, gestiti dal fascismo, che non vincevano più nulla. Gloria all’infausto Duce.


JACK PRAN

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