Sport, 19 settembre 2023

“A Lugano tante emozioni! Ora fiero di mio figlio Alessio”

A colloquio con il pluri-decorato Sandro Bertaggia, padre del neocampione svizzero

LUGANO - Leggenda, icona, mito: fate voi. Sandro Bertaggia, al pari di tanti altri giocatori che hanno vestito la maglia del Lugano negli anni d’oro, ha ragalato tante gioie e tante soddisfazioni ai suoi tifosi e ancora oggi è ricordato per il suo attaccamento alla società e per il suo grande impegno profuso sul ghiaccio. Dopo tanti anni di carriera (oltre un ventennio) e una esperienza quale tecnico, ora cura gli interessi di tanti atleti grazie ad una agenzia che dirige insieme ad altri due ex quali Dani Giger e Thomas Rüfenacht, quest’ultimo operativo da pochi mesi, da quando cioé ha deciso di appendere i pattini al fatidico chiodo. L’ex difensore bianconero e della Nazionale rossocrociata (il più votato della giura di specialisti ai Mondiali del 1990) è nato a Zugo nel 1964 da genitori di origini padovane. La nostra intervista parte proprio da qui. 


Per metà lei è italiano...
Esatto. Papà e mamma sono emigrati in Svizzera sul finire degli Anni Cinquanta. Mio padre ha trovato lavoro alla Landis e Gyr mentre io sono cresciuto fra gli svizzero-tedeschi. Inevitabile che parlassi soprattutto la loro lingua, che con gli anni è diventata mia. Ancora oggi penso in tedesco (ride, ndr). La mia famiglia si è insomma adattata benissimo ed è in un contesto ideale che ho cominciato a giocare all’hockey proprio nello Zugo.


Ma il primo passo importante è stato il trasferimento a Friborgo.
Dove ho trovato Paul André Cadieux allenatore. Una sola stagione e poi via, verso la più bella avventura che mi potesse capitare, a Lugano. Il primo incontro fu subito decisivo: davanti a me avevo Geo Mantegazza, Fausto Senni e John Slettvoll. Ci impiegai poco a capire che in Ticino sarei potuto crescere come giocatore e vincere qualcosa di importante. 


Infatti: sono arrivati sei titoli in 18 stagioni. 
Ce li ho in mente tutti, uno per uno. Ricordo comunque anche i sacrifici fatti dalla squadra. A quei tempi a Lugano era stato introdotto il professionismo grazie a Slettvoll, secondo il quale per raggiungere certi traguardi ci si doveva allenare tutti i giorni. Fu cosi, e i risultati sono lì sotto gli occhi di tutti.


Che tempi, quelli!
Ogni tanto incontro i vecchi tifosi e vedo nei loro occhi la gioia di aver vissuto serate memorabili. Molti mi dicono che quei giorni non torneranno più e allora io cerco di rincuorarli e li esorto ad aver pazienza. Nello sport ci sono dei cicli e quindi bisogna saper aspettare… 


A proposito di titoli: lei con il Lugano qualcuno l’ha pure perso in finale.
Ne rammento due in particolare. Quello contro il Berna del 1991 all’overtime, grazie ad un tiro di Rauch, e quello contro lo Zurigo nel 2001, sempre nel tempo supplementare. Stavolta per merito del compianto Morgan Samuelsson. Due grosse delusioni, la seconda soprattutto: vincevamo 3-1 nella serie e alla fine i Lions l’hanno saputa girare. Bravi loro, polli noi. 


A Lugano si è comunque trovato bene
Con mia moglie ci siamo ambientati alla grande. Nel club e in città. Lugano è a misura d’uomo, un luogo dove si vive benissimo. E poi qui sono i nati i miei figli Vanessa e Alessio, che sono diventati luganesi DOC. A proposito di Vanessa: nei giorni scorsi ha messo al mondo Federico. Sono nonno e questo mi rallegra tantissimo. Il 2023 è stato sinora un anno magnifico.


Davvero…
Oltre alla nascita di Federico, abbiamo anche gioito e festeggiato per il titolo svizzero vinto col Ginevra da mio figlio Alessio. Mi sono sentito davvero orgoglioso e fiero di lui. Così in famiglia adesso abbiamo due campioni svizzeri (ride, ndr). Scherzi a parte: non è davvero scontato oggi vincere il massimo campionato nazionale. Ci sono giocatori che ci hanno provato tutta la vita, giocatori di grande talento fra l’altro, che non hanno ancora provato questa ebbrezza. Cito due nomi: Damien Brunner e Julian Sprunger. Alessio ha lavorato tanto per arrivare al titolo. E alla fine se l’è pure meritato. 


E a Lugano qualcuno lo ha rimpianto. 
Alessio e la società hanno fatto le loro scelte. Niente da dire, nessuna polemica. Alla fine lui ha vinto il titolo e questo è ciò che più conta. 


Ci parli del Sandro Bertaggia manager. 
Da alcuni anni lavoro in un agenzia che cura gli interessi di parecchi giocatori svizzeri. E uno, Timo Meier, milita in National Hockey League. Cito altri nomi: Gregory Hofmann, Lino Martschini, Dario Simion e naturalmente mio figlio Alessio. Il nostro lavoro inizia nei settori giovanili dei vari club elvetici: dagli under 15 in poi. Cerchiamo di seguirli e in seguito di valorizzarli, sia dal punto di vista sportivo che umano. A noi interessa che il giocatore sia anche una persona a posto. Per me è una professione molto stimolante, che mi permette di stare a contatto con un mondo, quello dell’hockey, che è diventata la mia seconda casa.

M.A.

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