Sport, 17 aprile 2023

Quando i narcos colombiani comandavano il “futbol”

America e Nacional nelle mani dei criminali Escobar e Rodriguez

LUGANO - Ci sono stati due grandi momenti per il calcio colombiano del passato: il primo, all’inizio degli Anni Cinquanta del secolo scorso; il secondo, fra la metà degli Anni Ottanta e la metà degli Anni Novanta. La storia di questi due periodi è tuttavia piena di irregolarità, contraddizioni, false aspettative e fallimenti finanziari. Ma entriamo in argomento: la fase che va dal 1949 al 1954 chiamata El Dorado fu generata, in realtà, dallo sciopero dei calciatori argentini. Costoro si rifugiarono in Colombia visto che il paese andino non era affiliato alla potente FIFA. Ci fu un vero e proprio esodo di fuoriclasse che resero il campionato colombiano fra i più belli e spettacolari del Sudamerica. Nelle società della capitale Bogotà e delle altre importanti città del paese giunsero degli autentici fuoriclasse: per esempio Alfredo Di Stefano, Nestor Rossi e Adolfo Pedernera, che andarono a rinforzare la formazione locale dei Millonarios, diventata poi leggendaria.


L’entusiasmo dei tifosi, come si può facilmente immaginare, salì alle stelle: quando i tre calciatori argentini atterrarono all’aeroporto di Bogotà c’erano quasi 10 mila persone ad attenderli. In seguito alla decisione della federazione colombiana di accogliere i ribelli argentini, la FIFA non ebbe dubbi e bandì la nazionale e i club andini da tutte le competizioni internazionali. Fu così che inevitabilmente nel 1954, dopo cinque anni di gloria, il cosiddetto El Dorado terminò e con lui le stelle del firmamento sudamericano emigrarono in Europa. Il calcio colombiano era a terra. 


I soldi dei cartelli
Per circa un trentennio della Colombia non si parlò altro che del crescente fenomeno del narcotraffico e della guerra che coinvolgeva i guerriglieri rivoluzionari delle FARC, i paramilitari e l’esercito. Il futbol sparì dalle cronache, con la sola parentesi dei Mondiali cileni del 1962, ai quali si qualificò anche laSeleccion che, guarda caso, era diretta da AdolfoPedernera. Poi più nulla sino al 1990, ai Mondialidelle notte magiche italiane. In mezzo nessun segnale concreto di risveglio o di crescita: almeno a livello di nazionale, perché le singole societàcominciarono ad arricchirsi improvvisamente grazieai soldi dei potenti narcotrafficanti. Parallelamente fiorirono, in modo quasi dirompente, diversi talenti di caratura mondiale.


Per quasi un ventennio in Colombia, fatta eccezione per qualche giornalista di inchiesta finito poi malamente (nel miglior caso gambizzato), nessuno si chiese o si importava se era lecito o meno che Pablo Escobar e Gilberto Rodriguez Orejuela finanziassero due delle squadre più popolari del paese: l’Atletico Nacional di Medellin e l’America di Cali. I soldi della cocaina – scrisse il premio Nobel per la letteratura Gabriel Garcia Marquez - diventarono lo strumento per allestire rose formidabili, stadi da primo mondo, campi di allenamento e ingenti investimenti nei settori giovanili. Nessun governo colombiano o imprenditore “pulito” era mai riuscito nell’intento. I soldi della droga servirono, di riflesso, anche per formare una Nazionale di prima qualità, nella quale eccellevano giocatori quali Higuita, lo sfortunato Escobar (ucciso dopo i Mondiali del 1994 da un killer per una storia mai veramente acclarata legata alle scommesse), Valderrama, Rincon, Herrera, Valencia e Asprilla.


Titoli e omicidi
Appoggiato e finanziato dal “Patron del mal” (Pablo Escobar) l’Atlético Nacional nel 1989 divenne la prima squadra colombiana a vincere la prestigiosa Copa Libertadores. In Colombia fu un tripudio memorabile. E a Medellin, tanto per non farsi mancare niente, i sicari del cartello approfittarono dei festeggiamenti per regolare certi conti con i loro nemici. Il 17 dicembre di quello stesso anno il Nacional andò poi a sfidare il Milan del rivoluzionario Sacchi nella finale della Coppa Intercontinentale, persa all’ultimo minuto dei tempi supplementari (gol di Evani). Pablo Escobar la prese malissimo. Dal canto suo, l’America di Cali del clan Rodriguez dopo anni di magra vinse cinque titoli consecutivi tra il 1982 e il 1986 e disputò nientemeno che tre finali di fila della Copa Libertadores. Perdendole.


Ma i narcos avevano sotto mano non solo le società di calcio ma anche il giro (vizioso) delle scommesse e non si facevano scrupoli ad eliminare fisicamente chi, a loro insindacabile giudizio, li faceva perdere. Fu così che il 15 novembre 1989 l’arbitro Alvaro Ortega a soli 32 anni venne ucciso come un cane dai killer di Escobar per aver fatto perdere la squadra del boss di Medellin contro quella dei suoi acerrimi rivali, l’America di Cali. Crimine che naturalmente non fu mai punito. Come quasi tutti gli altri che coinvolsero la mafia colombiana.

JACK PRAN

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