Sport, 17 gennaio 2023

L’amico Rivelino racconta: “Pelé ha segnato la mia vita”

Fu compagno di squadra di O Rei nel Brasile delle meraviglie (Mondiali del 1970)

Rivelino è stato certamente uno dei giocatori più forti della storia del calcio mondiale. Ma non solo: ha avuto il privilegio di giocare al fianco del leggendario Pelé - morto nelle scorse settimane dopo lunga malattia - con il quale ha conquistato il titolo iridato del 1970 in Messico. Ancora oggi idolo indiscusso dei tifosi brasiliani, l’ex centrocampista del Corinthians e del Fluminense ha sempre avuto una sorta di venerazione per il suo più famoso compagno e nel giorno della sua scomparsa ha evitato di concedere interviste o dichiarazioni ai mass media, “perché il dolore era talmente grande che le parole non mi sarebbero uscite…” ci ha detto al telefono l’ex centrocampista campione del mondo, che abbiamo sentito quando ha ritrovato la forza di parlare.


Oggi Rivelino è un vecchio signore che non ha smarrito i piaceri della vita: fa la spola fra Rio de Janeiro e Sao Paulo, dove vivono i suoi cari e appena può fa un salto sulla spiaggia di Ipanema, dove di tanto in tanto ritrova i vecchi amici del calcio, la lista dei quali si sta riducendo di anno in anno: Pelé è soltanto l’ultimo di coloro che sono approdati nelle terre misteriose dell’al di là. “Ho quasi 80 anni e so che non vivrò ancora tantissimo, però cerco di sfruttare ogni momento. La morte di O Rei è stata una batosta, questo non lo nego affatto, e riprendersi non sarà facile”.  



In questo momento tutti si dicono amici di Pelé. Lei lo era davvero?
Con Edson (nome di battesimo di O Rei, ndr) ho sempre avuto un’amicizia profonda: non ci si vedeva molto ma fra di noi si era istaurato un solido rapporto. Nelle poche occasioni che ci si incontrava, tutto diventava una festa! Due possono essere amici senza vedersi spesso. Non abbiamo mai dimenticato i momenti trascorsi fianco a fianco in Nazionale e soprattutto lui non ha mai perso quell’umiltà che gli aveva permesso di farsi voler bene da tutti i suoi compagni di squadra.


Si è parlato molto di questo aspetto.
I più grandi raramente sono arroganti. E lui, da vero leader, non hai smesso di essere la persona che tutti avevano conosciuto sul finire degli Anni Cinquanta, quando stupì tutto il mondo con le sue magie calcistiche. No, Pelé è rimasto Pelé, sino alla fine.


Temuto da calciatori e allenatori ma anche dai politici. 
La sua figura, ciò che rappresentava, era temuta. A proposito: era talmente grande che una volta i guerriglieri venezuelani pianificarono il suo rapimento. Accadde prima di una trasferta a Caracas in occasione di una partita internazionale fra Venezuela e Brasile. Alla fine, però, la cosa finì in una bolla di sapone. Non conveniva a nessuno fare del male a Pelé… 


Si dice che lui fosse amico dei politici. Soprattutto durante la dittatura militare. 
Pelé era per natura molto diplomatico e non ci teneva molto a inimicarsi i padroni del vapore. Ma non esitò a criticarli quando fu necessario. Non era un capo-popolo alla Maradona, come si suol dire, ma la sua voce era comunque ascoltata. 


Insieme avete vissuto le magie di Messico 1970. 
Faccio fatica a contenere le emozioni quando ricordo quel Mondiale storico. Il Brasile vinse il suo terzo mondiale! E che squadra: Felix, Clodoaldo, Jairzinho, Pelé, Gerson, Tostao. Ancora oggi quella squadra è ritenuta la più forte di tutti i tempi. Io non so se ciò corrisponda al vero, anche perché è difficile fare paragoni fra le varie epoche calcistiche. O Rei fu il nostro trascinatore, malgrado non fosse nelle migliori condizioni fisiche.


Nonostante ci fossero diverse stelle, lo spogliatoio di quel Brasile era solido e compatto.
Perché era tutta gente che metteva gli interessi della squadra dinanzi a quelli personali. Pelé per primo diede l’esempio con la sua umiltà e la sua dedizione alla maglia. Continuò a spronarci sino all’ultimo minuto della finalissima vinta contro gli italiani. 


Si è parlato tanto di Pelé e Maradona. Ma chi fu il migliore dei due? 
Sono troppo coinvolto emotivamente per rispondere. Posso dirle che entrambi sono stati dei fenomeni. Nelle scuole dovrebbero introdurre delle lezioni che parlano di entrambi. Per spiegare anche la traiettoria umana: da bambini poverissimi a calciatori famosi e osannati.


Cosa lascia in eredità O Rei?
La bellezza e l’essenza del gioco del calcio. Ha segnato un’epoca e lanciato uno stile. Ma soprattutto ha rilanciato la ginga brasileira, quel modo di giocare che dopo i Mondiali persi in casa nel 1950, era stato erroneamente messo al bando. Con Pelé il Brasile tornò ad esprimersi un calcio spensierato, allegro e incisivo. 


Si è parlato tanto di possibili eredi nel corso degli ultimi decenni.
Parole al vento, parole a vanvera. Pelé non ha eredi e non ne avrà mai. Unico nel suo genere, Pelé insomma. 


Negli Anni Sessanta vi hanno messo spesso in contrapposizione. 
I giornalisti si divertivano… Dicevano che noi giocassimo nello stesso modo. Assurdo: lui era di un altro pianeta, io poteva soltanto guardarlo ed ammirarne le gesta e le movenze.

M.A.

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