Sport, 05 luglio 2022

“Bearzot e Pablito Rossi ci fecero diventare eroi”

Il 5 luglio di 40 anni fa l’Italia eliminava il Brasile ai Mondiali. Intervista a Collovati

MILANO (Italia) - Oggi, martedi 5 luglio, sono esattamente 40 anni: tanti ne sono trascorsi da quell’indimenticabile Italia-Brasile dei Mondiali di Spagna. Una partita spartiacque per il gioco del calcio. Per alcuni, i brasiliani, una tremenda beffa; per altri, gli azzurri, un autentico trionfo, una lezione per i perdenti. Da allora, da quel pomeriggio afoso del Sarrià (stadio di Barcellona che non esiste più), si è detto e scritto di tutto: libri, articoli di giornali, addirittura tesi universitarie; tante opinioni divergenti ma alla fine gli addetti ai lavori sono arrivati alla stessa conclusione: Italia-Brasile ha segnato la fine del futebol bailado e la consacrazione del calcio pragmatico e concreto. Una sfida, fra l’altro, fra due mondi diametralmente opposti che ha condizionato e non poco il modo di concepire questo sport ai livelli più alti.


Un giorno Michel Platini ebbe a dire a proposito: “Se i brasiliani avessero vinto quella partita il nostro sport ne avrebbe guadagnato dal punto di vista dello spettacolo. Ma si sarebbe andati in una unica direzione, facendoci dimenticare che il calcio è bello perché i brasiliani giocano alla brasiliana, i tedeschi giocano alla tedesca e gli italiani giocano all’italiana. Il pensiero unico, come si dice in politica, non fa mai bene”. Tornando alla sfida del Sarrià: proprio in questi giorni le TV hanno mostrato le immagini del trionfo azzurro e forse qualche capitolo di quell’Italia-Brasile andrebbe riscritto. Sì, perché la squadra di Enzo Bearzot non si dedicò soltanto a fermare gli avversari tirandogli la maglietta, come si è sostenuto da diverse parti, ma giocò anche un calcio moderno e arioso, con un’arma, il contropiede, letale. Come fanno i presunti e celebrati squadroni del giorno d’oggi. 


“L’Italia del 1982 era una squadra che giocava un calcio che è stato copiato da tanti allenatori moderni”, ci racconta Fulvio Collovati, uno dei grandi protagonisti del Sarrià, intervistato per ricordare quell’incredibile 3-2 targato Paolo Rossi. 


Signor Collovati, sono passati 40 anni. Eppure quella partita fa ancora, e tanto, discutere. 
Quando un evento è bello, quando emoziona e mette in contrapposizione due grandi potenze del calcio mondiale, è normale: Italia-Brasile del 1982 è entrata nei libri di storia, come lo è stato Uruguay-Brasile del 1950 o Italia-Germania del 1970. Ognuna di queste sfide ha le sue particolarità e le sue storie. Noi ne scrivemmo una assolutamente straordinaria, perché battemmo probabilmente il Brasile più forte della storia. 


Questo lo dicono gli italiani per sottolineare con maggior enfasi la portata di quella impresa… 
Mi scusi: basta leggere la formazione schierata da Telé Santana per rendersi conto del valore incredibile di quel Brasile. Zico. Falcao, Cerezo, Junior, Socrates, Eder. Era la squadra favoritissima alla vittoria finale. Nessuna dubitava che la coppa sarebbe finita nel paese sudamericano. E anche in Italia non c’era chi osasse contraddire questo pronostico. 


Forse gli azzurri stessi.
Al netto di un turno di qualificazione estremamente difficile e complicato, nel gruppo eravamo tutti convinti che nel corso del torneo le cose sarebbero cambiate. Ci bastava un clik, ci bastava una vittoria corroborante per cambiare il nostro destino.


Arrivò proprio contro il Brasile.
In realtà non fu così. A mutare il nostro destino fu la vittoria contro l’Argentina, nella prima partita del girone di ferro. Battuto il giovane Maradona ci ritrovammo di fronte la Seleçao con uno spirito ben diverso rispetto ai giorni precedenti. 


La partita fu straordinaria. Uno spettatore neutrale non avrebbe potuto chiedere di meglio. 
Emozioni indescrivibili. Sin dal primo minuto. Ricordo che dopo una trentina di secondi anticipai con una certa rudezza Serginho e mi dissi: Bravo Fulvio, un buon inizio, facciamoli capire da che parte tira il vento. In sostanza l’Italia mostrò subito ai suoi rivali che non era lì per fungere da comparsa. Venissero avanti, a colpi di tacco e geometrie fantastiche, noi eravamo pronti a ribattere. E così fu!


Il calcio spettacolo contro il catenaccio?
Macchè catenaccio! La sfido a dirmi quante volte ci siamo veramente tirati indietro nella nostra metacampo per difenderci, a parte gli ultimi minuti, del resto in modo comprensibile. Il nostro, ripeto, era un calcio moderno. Con alcuni giocatori dotati di enorme talento: Scirea, Antognoni, Conti. E poi Pablito Rossi.


Già, la sua tripletta fu letale.
Enzo Bearzot aveva sempre creduto in lui, anche quando stentava. Nella prima fase fece una fatica enorme e tutti ne chiedevano la rimozione dall’undici titolare. IL CT alla fine ebbe ragione e Pablito liberò il suo talento. Velocità, fiuto del gol e tecnica: un giocatore ancora oggi invidiato. Ci manca: la sua scomparsa (avvenuta nel 2020, ndr) ha scosso il nostro ambiente. Lui e Bearzot, un buon uomo grande conoscitore di calcio, ci hanno permesso di diventare degli eroi. Quell’Italia oggi è ancora la più amata e la più ricordata dai tifosi azzurri.


Poi l’Italia veleggiò verso il titolo.
Superammo l’ostacolo più difficile. A fine partita alcuni brasiliani piangevano, altri non si capacitavano restando stesi sul tappeto verde, altri si complimentarono con noi. Avevamo grande rispetto per quello squadrone. Ma vorrei dire due cose. La prima: quella sfida la vincemmo noi e non la perse il Brasile come dissero e scrissero in tanti. La seconda: ho tanti bellissimi ricordi di quel Mondiale. La sfida del Sarrià è quella che mi commosse di più. Avevamo battuto degli extra-terrestri!

MAURO ANTONINI

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