Sport, 26 ottobre 2021

Vito, un uomo semplice che ha segnato un’epoca

I figli Daniele e Nicola Gottardi ci spiegano i temi del libro dedicato al popolare papà

LUGANO - Vito Gottardi è stato un grande calciatore ticinese. Uno dei pochi nati al Sud delle Alpi che abbia avuto la possibilità di giocare un campionato del mondo. Successe nel 1966, in Inghilterra. Non fu vera gloria, quella. La nostra nazionale era troppo inferiore ad Argentina, Spagna e Germania. Ma il numero 7 bianconero per antonomasia conquistò prestigio e popolarità con la maglia del Grande Lugano di Louis Maurer, del Bellinzona di pinteriana memoria e prima ancora del Losanna, in età ancora giovanissima. Vito è stato anche una brava persona: ben voluto da tutti, sempre pronto a dare un colpo di mano e mai sopra le righe. Inevitabile, perciò, che qualcuno lo ricordasse con una biografia, un racconto-testimonianza di cosa è stato, di ciò che ha fatto prima della sua scomparsa, avvenuta nel 2015. Un compito che è toccato ai figli Daniele e Nicola, che con premura, amore ed anche un po' di sofferenza hanno scritto un libro dal titolo semplice:Mi chiamano Vito. Lo si può trovare da qualche settimana nelle librerie di tutto il Cantone ed è stato edito da Fontana Edizioni. Ne abbiamo parlato con gli autori.


Come è nata l’idea di questo libro?
Nicola: Dall’affetto della gente, dalle loro testimonianze, dalla vicinanza di persone che hanno voluto raccontarci dei momenti che hanno condiviso con Vito. Quando è venuto a mancare siamo rimasti sorpresi da quante persone sono venute a dargli un ultimo saluto e si sono intrattenute con noi raccontandoci aneddoti che riguardavano il calciatore, l’amico, il collega, l’allenatore,…Sarebbe stato un peccato se tutto questo fosse andato perso. Il libro è nato così.


Cinque anni di lavoro: ci sono state pause o avete preferito prendere tempo per approfondire maggiormente il tema ?
Daniele: Né io né mio fratello avevamo mai scritto un libro e non avevamo le idee in chiaro su come procedere. Il tempo a disposizione inoltre, dovuto alle attività lavorative di entrambi, non ha certamente reso più semplice la cosa. Ci siamo confrontati con diverse difficoltà lungo il percorso, a partire dalla raccolta delle testimonianze fino alla stesura vera e propria del contenuto. Ad essere sinceri la difficoltà maggiore è stata a livello emotivo. Se da un lato rivangare i ricordi e le imprese di papà ci rendeva orgogliosi e lo faceva rivivere quotidianamente accanto a noi e a chi lo ha conosciuto, dall’altro lato rievocava un senso di tristezza e nostalgia che ci colpiva dritti al cuore e ci impediva di proseguire come pianificato.


La scelta dei vari capitoli?
Daniele: Una volta deciso che la raccolta degli aneddoti (e quindi dei contenuti principali del libro) fosse finita, abbiamo provato ad ordinarli in modo cronologico. Ci siamo così accorti che l’idea iniziale di creare una “classica” raccolta di testimonianze poteva invece lasciare spazio ad una sorta di biografia a più voci. Per orientare comunque il lettore tra le varie fasi della vita di papà (dalla carriera calcistica alla vita di paese in Collina) abbiamo deciso di inserire dei capitoli che ne valorizzassero il percorso e evidenziassero i momenti principali da lui vissuti.


Immaginiamo che i vostri intervistati abbiano accolto positivamente l’iniziativa. Ci sono state delle rinunce?
Daniele: Innanzitutto vorrei ringraziare tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno partecipato
al nostro progetto e lo hanno reso possibile. Abbiamo provato a contattare oltre duecento persone e hanno risposto in modo positivo poco più di un centinaio. Alcuni evidentemente non se la sono sentita di esternare ricordi a loro molto cari e intimi, altri hanno molto sinceramente ammesso di non averlo conosciuto a sufficienza mentre alcuni invece… non avevamo semplicemente tempo o voglia di raccontarci qualcosa.


Molto toccante lo scritto di Valeria Airaldi, la futura moglie di Daniele.
Daniele: Il lavoro di Valeria è stato molto prezioso per noi. Lei non ha mai conosciuto papà di persona. Lo ha incontrato però attraverso i racconti delle persone che ha intervistato (si è occupata di contattare gran parte di coloro che hanno preferito raccontare a voce le testimonianze). È riuscita così a conoscerlo in un altro tempo e a raccontarlo in questo libro.


Mamma Silvia era d’accordo di fare il libro?
Nicola: Certo! Per lei, dal punto di vista emotivo, è stato ancora più impegnativo
affrontare questo percorso ma nella nostra vita abbiamo sempre potuto contare sul sostegno dei nostri genitori e anche in questo progetto mamma Silvia ci ha supportati. Aggiungo che probabilmente senza di lei il libro non si sarebbe realizzato. Solo grazie alla mamma siamo stati in grado ci completare alcune testimonianze e alcuni passaggi di vita di papà.


Che rapporto avevate con vostro padre?
Nicola: Avevamo un bel rapporto. Per lui la famiglia è sempre stata importante e ci voleva bene. Faceva parte di quella generazione che preferiva manifestare l’affetto con i gesti invece che le parole. Gesti che forse noi davamo per scontati ma che a distanza di tempo riconosciamo essere stati carichi d’affetto e tutt’altro che banali. Con lui ci divertivamo e spesso ci prendavamo in giro a vicenda. Ci riteniamo fortunati ad aver avuto un punto di riferimento come lui nella nostra vita.


Raccontava aneddoti del suo passato calcistico?
Nicola: Raramente. Quello che sapevamo di lui ce lo raccontavano amici e conoscenti o lo scoprivamo mentre ne parlava con loro. A noi preferiva raccontare aneddoti sui luoghi che grazie al calcio ha potuto visitare o sulle persone che ha incontrato e con cui ha avuto la possibilità di giocare. Devo anche dire che spesso quando iniziava a raccontare finivamo per prenderlo in giro scherzando sulle differenze generazionali e sul modo in cui veniva vissuto il calcio in quel periodo.


Cosa ha lasciato Vito Gottardi al calcio e alle persone di oggi?
Daniele: È una bella domanda. Da sportivo ha impresso il suo nome su due Coppe svizzere e su una partecipazione alla fase finale di un campionato del mondo (Inghilterra 1966, ndr), ma la vera eredità si trova nel cuore della gente, e leggendo il libro se ne ha la conferma.


Quale è il personaggio che lui ha amato di più?
Daniele: Amava gli sportivi… di classe. Quelli con qualità eccezionali ma soprattutto con un savoirfaire impeccabile. Se devo fare un nome, anche se potrebbe sembrare scontato, direi Roger Federer.
Nicola: Anche se forse il personaggio che ha amato di più, e che portava il suo stesso numero, non è uno sportivo. Stravedeva infatti per James Bond 007, interpretato dall’attore Sean Connery

M.A.

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