Sport, 11 ottobre 2021

Peter Jaks, un campione di hockey

Il ricordo dell’attaccante ticinese a 10 anni dalla sua prematura scomparsa

AMBRÌ - Il 5 ottobre 2011, dieci anni fa, ci lasciava uno dei giocatori svizzeri più forti di tutti i tempi ed anche uno dei pochi che in Ticino facevano l’unanimità: Peter Jaks. Possente, carismatico e dotato di un tiro micidiale, erano stimato ed apprezzato sia ad Ambrì, dove era diventato nel corso degli anni l’uomo simbolo, sia a Lugano, società con la quale aveva vinto un titolo svizzero nel lontano 1988. Ma aveva lasciato il segno anche nella sua triennale esperienza di Zurigo, dove ancora oggi lo ricordano tutti come grande sniper e persona perbene.


Con la squadra della Limmat vinse due titoli, entrambi a spese del Lugano. Sulla sua morte, avvenuta in una stazione sperduta delle Puglie, si è scritto e detto molto. La verità vera è che se n’è andato troppo presto e che tutto il resto appartiene alla sfera privata. Di Peter, coloro che lo conobbero, conservano a tutt’oggi il ricordo di un bravo ragazzo, alto, forte, bonario. Obiettivo e coerente, anche quando si trattava di prendere decisioni che andavano a toccare persone a lui care. Uno su tutti il fratello Pauli, al quale l’indimenticato attaccante diventato direttore sportivo non rinnovò il contratto. Non fu certo facile, ma alla fine prevalse il rispetto per la sua professione e per il club. Nessuna corsia preferenziale, insomma.


Da Ascona alla Valascia
Peter Jaks, del quale oggi ripercorriamo la storia, gioca ad Ascona quando nell’estate del 1983 viene chiamato ad Ambrì dal tecnico svedese Lasse Lilja. La squadra leventinese è appena stata retrocessa in Lega Nazionale B e la società decide di puntare nuovamente sui giovani. Peter, nato in Cechia e cresciuto a Bellinzona, ha un potenziale enorme, e Lilja, che è un vecchio volpone, se ne accorge subito tanto che nel gennaio del 1984 lo butta nella mischia. Ambrì Piotta-Herisau 9-5; Peter viene schierato in quarta linea con Warren Brütsch e John Fritsche, due svizzeri d’America. Inizia così una delle carriere più straordinarie del nostro hockey. Al termine di quel campionato, i biancoblù non andranno oltre un onorevole piazzamento ma tutti si sono già accorti di quel talentuoso ragazzino nato nel 1966.


Il passaggio ai cugini
Dopo tre stagioni ed una promozione nella massima serie (1985), Jaks cede alle lusinghe di Geo Mantegazza e Fausto Senni e firma per il Lugano, attirandosi le ire dei tifosi leventinesi. Ma lui, che ha sempre e giustamente fatto i suoi interessi, accetta questa intrigante e difficile sfida e nel 1988, al suo primo anno con John Slettvoll, vince il campionato svizzero. Kloten sconfitto dopo una finale senza storie. Nonostante qualche problema con il tecnico scandinavo, che inizialmente fatica ad inquadrarlo nei suoi schemi, alla lunga l’ex HCAP diventa una pedina importante sulla scacchiera bianconera. Nel 1989, tuttavia, il Lugano perde la finale con il Berna e Jaks decide di tornare in Leventina, dove rimarrà per 8 stagioni.


Pedina fondamentale
Alla Valascia, dopo qualche mugugno iniziale, diventa una delle pedine imprescindibili durante un’epoca forse fra le
più entusiasmanti del club biancoblù. Peter è ormai consacrato bomber di razza ed è pure bravo a leggere le situazioni tattiche prima degli altri. Gioca al fianco di autentici assi quali Dale Mc Court, Red Laurence e Mike Bullard ma il suo miglior momento lo vive al fianco del leggendario campione URSS Valeri Kamenski. Nel frattempo è osannato e riverito idolo del pubblico, che in lui vede una sorta di “braccio armato”: quando piazza i suoi tiri, sono guai e dolori per i portieri avversari. Tuttavia, dopo 8 anni
Jaks chiude con la Leventina: nel 1998 riceve infatti una irrinunciabile offerta dello Zurigo e valica così il Gottardo. Proprio nella stagione della finale tutta ticinese. Ancora oggi i vecchi fans biancoblù guardano con rammarico a quella partenza per certi versi clamorosa: “Con Peter - dicono -avremmo probabilmente vinto il titolo”.


Re di Zurigo
A Zurigo e con lo Zurigo l’attaccante di origine ceca vincerà due titoli consecutivi nel 2000 e nel 2001. All’Hallenstadion conquista prestissimo il cuore dei nuovi tifosi. Vittima dei Lions è il Lugano dell’indimenticato Jim Koleff, battuto due volte nell’atto finale e nella seconda in modo rocambolesco. Con la serie che sembra volgere in loro favore (3-1), i bianconeri perdono la testa e vengono rimontati. Poi in gara 7 il crollo ai supplementari.


“Ricordo ancora il gol decisivo di Morgan Samuelsson. Il disco spazzò via la bottiglietta di Huet messa all’interno della gabbia”, dirà il buon Peter. Che continua a giocare per altre due stagioni e poi nel 2003 decide di chiudere, lasciandosi alle spalle ben 13 primati nazionali (fra gli altri 487 reti e 894 assist, numeri di paura). A quel punto l’Ambrì Piotta lo ingaggia per fare il direttore sportivo. Un’esperienza completamente nuova e diversa per lui. Fra i suoi colpi migliori l’ingaggio dei canadesi Hnat Domenichelli (attuale DS del Lugano), Jean-Guy Trudel e Erik Westrum.


Quel contratto stracciato
La carriera di Peter Jaks dietro la scrivania termina nel 2009, quando Filippo Lombardi diventa presidente dell’HCAP. Per l’ex scorer non c’è più posto all’interno del club. Il giornalista- direttore- senatore- dirigente decide di cambiare e promuove il tecnico Benoit Laporte nel doppio ruolo di allenatore-direttore sportivo. Una scelta che non sarà pagante. Jaks incassa il colpo e riparte: nel 2010 firma un contratto con il Kloten (“Una soluzione ideale per me”, disse) che però viene “stracciato” dagli zurighesi, i quali dicono a Jaks di preferire una soluzione locale. Un brutto colpo che mette fine alla carriera hockeistica dell’ex biancoblù. Sempre nel 2009 diventa opinionista apprezzato della RSI e in seguito di Teleticino. Competente e pungente. Peter non guarda in faccia a nessuno. Dice a voce alta ciò che pensa. Tutt’altra cosa rispetto ai “dispensatori di verità” odierni, ingessati e piatti…

BILL CASTELLI

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