Sport, 22 luglio 2021

Pogacar, ma è tutto vero? “Prestazioni sconcertanti...”

Il giornalista d’inchiesta Eugenio Capodacqua avanza dubbi sullo sloveno

PARIGI (Francia) - A 23 anni di distanza dal blitz della Gendarmerie francese che mise kappaò la Festina - costretta a lasciare il Tour perché nella macchina del suo massaggiatore furono trovate sostanze dopanti - ecco che la sezione antinarcotici transalpina è riapparsa alla Grande Boucle. Come noto nei giorni scorsi, un gruppo di agenti ha perquisito l’albergo della Bahrain Victorious a Pau ed ha sottoposto i corridori all’esame del capello. L’azione è stata condotta da una trentina di poliziotti e si è sviluppata su mandato della Procura di Marsiglia che combatte i reati contro la salute pubblica. Sono stati sequestrati anche i computer dei ciclisti partecipanti al Tour de France e altro materiale da controllare.

Insomma: l’ombra del doping è tornata a far tremare il ciclismo. Ne abbiamo parlato con Eugenio Capodacqua, ex inviato di Repubblica e giornalista d’inchiesta fra i più conosciuti che non ha mai avuto paura, attraverso approfonditi reportage, di denunciare i malvezzi (eufemismo) del ciclismo moderno. Al contrario di molti suoi colleghi, che per interesse o perché avevano le fette di salame sugli occhi, hanno sempre fatto finta di niente. Dai tempi di Armstrong ad oggi.

Eugenio Capodacqua: il ciclismo è ancora nella bufera.
C’era da aspettarselo. Almeno, chiunque abbia un minimo di lucidità e di competenza nell’analizzare la corsa francese non può che essere strabiliato dalle prestazioni dei corridori. Un Tour pedalato “a tutta” dall’inizio alla fine con lo sloveno Pogacar che ha “messo il cappello” sulla “Grande boucle” con le due vittorie straordinarie sui Pirenei. Medie stratosferiche; “record” sulle salite storiche strabattuti; recuperi prodigiosi dopo tappe sfiancanti. Di più e meglio degli stessi record fatti in passato da corridori risultati poi dopati. E allora viene spontaneo domandarsi come sia possibile oggi effettuare prestazioni migliori di atleti palesemente dopati, senza fare ricorso a prodotti o pratiche proibite. Siamo di fronte ad una generazione di “marziani”?

La Gendarmerie si è mossa con perfetto tempismo.
C’è una denuncia (pare in forma anonima); c’è un’indagine d’ufficio. C’è un blitz. Con sequestro di files di allenamento. Per i regolamenti sportivi sono le sostanze e le pratiche vietate a parlare di doping. Non i file che registrano i valori di potenza espressi dagli atleti in gara. Almeno finora. Quello del cosiddetto “passaporto termodinamico”, ovvero il monitoraggio della potenza dell’atleta, in allenamento e fin dalle primissime competizioni, sarebbe un’arma in più per l’antidoping, ma non è ancora attuale. Chissà se lo sarà mai. Vedremo se la legge francese troverà appigli diversi. Ma sono molto scettico.

Negli ultimi anni però il ciclismo sembrava uscito dal doping.
Però riflettiamo: ancora una volta la “scossa” viene da entità esterne allo sport. Mentre i controlli, i test che fa lo stesso mondo sportivo, con strutture autoreferenti, sono, forse proprio per questo, assolutamente deficitari. La ITA (International Testing Agfency), incaricata dei test al Tour, ha già effettuato più di 3500 test in varie discipline, ne prevede oltre 560 alla fine di questo Tour. Ma i risultati sono sconfortanti. l’ultimo controllo positivo al Tour è stato nel 2012 (l’italiano Paolini, pizzicato, peraltro, per cocaina…). Al Giro, a parte l’esclusione prima del via della formazione Vini Zabù (due “positivi” in meno di due mesi) non c’è stato verso di trovare un dopato. Cosa vuol dire che il ciclismo (lo sport di vertice in generale) è diventato improvvisamente candido come una stella alpina? Sappiamo che essere negativo ad un test non vuol dire essere necessariamente pulito. Sfuggono centinaia di sostanze e pratiche pericolose e dannose per la salute. Il sistema di controllo è sempre drammaticamente indietro.


Perchè, di grazia?
Perchè nessuno ha interesse a mettere in piedi un “vero” sistema di controllo antidoping.
L’importante è “far vedere” che i test ci siano e che Pogacar possa dire “mi hanno controllato ben tre volte nello stessogiorno”. E’ l’ipocrisia dello sport-spettacolo. Una truffa per l’ignaro spettatore o l’ingenuo tifoso. Quello che conta è il “business”, il dollaro, il giro di affari miliardario che muovono manifestazioni come Giro, Tour e Vuelta e altre corse “iconiche” del calendario internazionale. Parliamo di cifre che vanno dai 100 ai 150 milioni di euro per la corsa francese, la metà e forse più per quella italiana. In più c’è lo spettro della pandemia da Covid 19, ancora non debellata, che rischia di bloccare tutto in qualsiasi momento. Pensare che si voglia fare un “vero” controllo antidoping con l’ombra di una crisi economica sempre in agguato è pura utopia.

La Bahrain e i suoi corridori sono indignati.
E’ scontato che la BahrAin neghi e minimizzi tutto. Fa parte del gioco. Però, in teoria, dall’analisi delle prestazioni derivante dal sequestro dei file si potrebbero capire molte cose. Ci sono regole, quelle della fisiologia fin qui conosciuta, che sono molto più convincenti di tanti regolamenti antidoping. I massimi esperti del settore sono concordi nel dire che prestazioni sopra i 6,2 – 6,5 watt per chilo di peso corporeo sono quanto meno sospette. Sopratuttose queste prestazioni sono effettuate al termine di 5-6 ore di corsa pedalate forsennatamente sopra i 50 all’ora. Dai calcoli teorici sulle salite “storiche” molti dei protagonisti del Tour hanno superato ampiamente questi limiti. Dovrebbero spiegarci come hanno fatto. Perché c’è un limite al “consumo di ossigeno” (VO2max, qualità base nel ciclismo) oltre il quale o dimostri di essere un “marziano” (ma lo devi fare con test “oggettivi” organizzati da team veramente “terzi”, cioè fuori dagli interessi del ciclismo e degli sponsor), oppure i sospetti sono autorizzati. Non si scappa.

Per il Tour è un’altra botta all’immagine...
Di fatto il Tour è più che una manifestazione sportiva in Francia. E’ un’istituzione. Il presidente Macron era in visita ufficiale l’altro giorno. E’ molto improbabile che scoppi uno scandalo come quello della Festina in passato, compromettendone l’immagine. Poi ci sono regolamenti vecchi e inefficaci. Analisi e test sono sempre indietro. Spuntano sostanze sempre nuove, fuori dalla lista proibita. Che i nuovi (vecchi) “stregoni del doping” stiano già sconfinando nella genetica è risaputo. Il “monitoraggio” di valori ematici e ormonali definito dal passaporto “bio” potrebbe funzionare, ma non ha alcuna credibilità se è gestito (com’è) all’interno dello stesso mondo sportivo. Dove contano altri interessi. Vale per il ciclismo e per tutti gli sport di vertice.

Intanto Tadej Pogacar sta facendo faville.
Sullo sloveno non mi esprimo. Le sue prestazioni sono strabilianti. La soluzione per allontanare i sospetti c’è: sottoporsi ad una serie di test presso strutture assolutamente “terze” per dimostrare che il suo fisico può sconfinare senza “aiuti” dalla fisiologia fino ad oggi conosciuta. A suo tempo chiesi la stessa cosa ad Armstrong. Senza riscontri. Pogacar mi esaudirà?

Qual è il suo giudizio tecnico sullo sloveno?
Non sono in grado, visti i presupposti, di dare un giudizio tecnico. Guardo il ciclismo come uno spettacolo, alle volte anche piacevole, come un film, una “pièce” teatrale. Una sorta di “wrestling”, in cui si sa che quel che si vede è in gran parte fasullo. Capisco anche il tifoso che vuole illudersi. E’ un diritto inalienabile. Ma bisogna ben sapere che gli individui che oggi sono visti come “geants de la route” domani possono diventare dei banalissimi dopati. Vedi il caso Armstrong. Lo sport, almeno come lo intendo io, è un’altra cosa.

MAURO ANTONINI

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