Sport, 06 aprile 2021

Qatar, diritti umani violati è ora di prenderne atto!

I 6 mila morti sul lavoro non bastano per boicottare i Mondiali? E la Svizzera cosa fa?

“Diritti umani fuori e dentro” questo è il testo sulle magliette con le quali i calciatori della nazionale norvegese hanno protestato contro le condizioni dei lavoratori impegnati nella costruzione degli stadi in Qatar, il paese che ospiterà la prossima rassegna iridata. Le accuse riguardano morti sul lavoro e pagamenti al di sotto di qualsiasi soglia sindacale. La notizia l’aveva pubblicata il giornale inglese “The Guardian”, il totale dei morti ammonterebbe a più di 6000, forza lavoro che proveniva perlopiù da India, Nepal e Bangadesh.


Prima della partita di qualificazione ai Mondiali Norvegia-Gibilterra, il tecnico Staale Solbaken aveva preannunciato che i suoi calciatori intendevano compiere un gesto significativo: “Stiamo preparando qualcosa di concreto per fare pressione sulla Fifa affinché sia ancora più diretta e ferma nei confronti delle autorità del Qatar, per imporre loro richieste più severe”.


Joshua Kimmich, che milita nel Bayern, ha prontamente risposto e dal ritiro della nazionale tedesca ha commentato. “Credo che nel mondo del calcio o almeno noi della nazionale tedesca dovremmo avere il coraggio di prendere posizioni su argomenti scottanti anche se a qualcuno può non piacere. Grazie al calcio abbiamo la possibilità di attirare l’attenzione su certe tematiche e vogliamo farlo in occasione dei Mondiali”.


Risultato: all’inizio di Germania-Islanda i tedeschi, dopo l’inno, si sono stretti l’un con l’altro e hanno indossato una maglia nera con la scritta “Human Rights”.


E anche l’Olanda ha deciso di assumere la medesima posizione, il difensore della Juve De Ligt hadichiarato: “Penso sia chiara la nostra opinione. Abbiamo parlato molto della difficile situazione in Qatar”. E prima dell’incontro contro la Lettonia, durante gli inni, i giocatori olandesi avevano scritto sulle loro magliette: “ Il calcio sostiene e supporta il cambiamento”.


È tempo che lo sport si dimostri più sensibile alle tematiche sociali. Per il momento solo il Nord Europa ha deciso che non si poteva rimanere zitti. Nonostante le cifre impressionanti sul tutto sembrava sceso un imbarazzante e complice silenzio. Sono stati i norvegesi che hanno gettato il classico sasso nello
stagno. La FIFA ha fatto sapere che non intende prendere provvedimenti contro Norvegia, Germania e Olanda. In una nota ufficiale ha comunicato: “La Fifa crede nella libertà di parola e nel potere del calcio come forza al servizio del bene. Non ci saranno procedure disciplinari riguardanti la questione specifica”.


Il Mondiale in Qatar si farà, di certo non lo fermeranno queste proteste, si giocherà di dicembre in stadi dal design avveniristico e refrigerati. Troppi interessi in ballo per poter pensare di fermare un simile evento. Le federazioni sono state silenti (quella svizzera in primis), gli organi di stampa, specie quelli sportivi, si sono accodati (non è una novità). Ci hanno pensato i calciatori a fare sentire la loro opinione, a esprimere dei dubbi, a proporre uno spunto di riflessione. Si può cercare di capire? Si possono chiedere dei chiarimenti? Si può aprire un dibattito? Si può affermare che la scelta di assegnare il Mondiale al Qatar è stata, eufemisticamente, discutibile? Oppure il mondo del calcio è intoccabile? I giocatori nell’immaginario collettivo sono un potente status symbol, attraverso i social hanno a disposizione dei megafoni portentosi. Per il momento nessun’altra nazionale ha preso posizione su questa delicata e grave situazione. La Norvegia non intende mollare l’osso e ha preannunciato che non si fermerà. Sicuro che se personaggi come Messi o Ronaldo facessero sentire la loro voce allora la discussione non potrebbe essere contenuta o delimitata. Lo spettacolo andrà sicuramente in scena e il tifo si scatenerà. Ma a che prezzo? Ne sarà valsa la pena? Si sta parlando di morti e palesi violazioni di diritti fondamentali. Le istituzioni dovrebbero riflettere che esistono dei limiti, c’è un punto di non ritorno. Il calcio è sport popolare, la sua fortuna dipende da questo elemento. Dovrebbe avere coscienza e consapevolezza che ha un’immagine planetaria. A grandi poteri corrispondono grandi responsabilità. Questo tacere non è comprensibile. È ora di agire, e la Svizzera non si limiti alle frasi di circostanza: “Nessun boicottaggio ma il dialogo”, ha detto, bontà sua, Dominique Blanc, presidente della nostra federazione. Ancora una volta il nostro calcio (e il nostro paese) resterà indifferente?

ARNO LUPI

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