Sport, 08 marzo 2021

1960, l’Unione Sovietica prima regina d’Europa

Raccontiamo la storia della rassegna continentale dalla prima edizione in poi

Il calcio internazionale è in pieno fermento. Nel decennio che va dal 1950 al 1960 il numero delle squadre nazionali e di club è cresciuto in maniera esponenziale. I Mondiali del Brasile con il suo finale drammatico (per la squadra di casa), quelli giocati in terra rossocrociata (che beffa per Puskas e la grande Ungheria!) e in terra svedese targati-Brasil portano nuovi adepti a questo sport. Il talento dei suoi interpreti, il modo ancora ingenuo di praticarlo, generano spettacolo ed entusiasmo.

Siamo agli albori di un’espansione planetaria che non ha riscontri in altre discipline. In Europa, intanto, si cerca di organizzare una manifestazione fra le migliori squadre del Continente. Nel 1960 il segretario dell’UEFA Henri Delaunay lancia un inedito torneo per squadre nazionali. Le difficoltà sono parecchie e alla prima edizione, che viene assegnata alla Francia, si iscrivono solo diciassette selezioni. Non è il primo campionato organizzato nel Continente.

Hugo Meisl, dirigente e tecnico dell’Austria pedatoria, aveva già ideato la Mitropa Cup, competizione per squadre di club e in segui lanciò anche una rassegna per squadre nazionali, la Coppa Internazionale. Ma non ci fu il successo che tutti speravano e così nel 1960 Delaunay ci riprovò. Anche lui, per contro, non ebbe inizialmente molta fortuna perché, appunto, all’edizione d’esordio si iscrissero solo 17 squadre. Mancavano l’Italia, in pieno caos dopo l’eliminazione dal mondiale di Svezia del 1958 ma anche il Belgio, l’Olanda e la nostra Svizzera. Venne così formato un tabellone per gli ottavi di finale dal quale uscirono vittoriose Spagna, Cecoslovacchia, Francia, URSS, Jugoslavia, Portogallo, oltre alle sorprendenti Romania e Austria.

La geografia politica era cambiata dopo la seconda guerra mondiale e in quel momento le squadre del blocco sovietico potevano fare valere una preparazione psico-fisico superiore alle altre grazie ai rigidi e controllati sistemi di allenamento a cui era sottoposti i propri giocatori e alla scelta del regime di puntare sulle squadre nazionali per propagandare l’ideologia
comunista. Comunque: si arrivò ai quarti (con partite di andata e ritorno): di fronte anche Spagna e URSS e subito scoppiò un caso spinoso, provocato dal rifiuto degli iberici di sostenere la trasferta a Mosca: il generalissimo Francisco Franco, uno dei più ferrei dittatori del secolo scorso, aveva battuto i pugni sul tavolo: la Spagna non giocherà contro i comunisti.

Detto fatto: l’URRS passò il turno ed ebbe accesso alla fase finale a quattro, che si svolse in Francia nelle sedi di Parigi e Marsiglia. Ebbe allora inizio la fase finale dei primi Europei della storia con i sovietici, la Francia, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia. Tre squadre su quattro dell’Est. Il sorteggio mise di fronte l’URSS alla Cecoslovacchia mentre la Francia si trovò sul suo cammino la Jugoslavia. Nella prima semifinale i sovietici rifilarono un secco 3-0 ai ceki mentre nella seconda la Jugoslavia superò di misura i padroni di casa con un pirotecnico 5-4. Sotto di due reti (2-4) la squadra di Belgrado ribaltò il risultato in quattro minuti (fra il 75’ e il 79’) e raggiunse l’URSS in finale.

Fu così che il 10 luglio del 1960 al Parco dei Principi parigino andò inscena la prima finale della storia degli Europei, che quest’anno disputeranno il loro sessantesimo con l’edizione itinerante. La Jugoslavia andò in vantaggio sul finire del primo tempo con Galić. Ma i sovietici, forti di una condizione atletica superiore e di una difesa solida che si reggeva sul leggendario portiere Yashin pareggiarono ad inizio ripresa con Metreveli. Furono però necessari i supplementari per dirimere la questione: l'equilibrio fu rotto a sei minuti dal termine da Ponedelnik, che di fatto consegnò il trofeo all’URSS.

Fu comunque una prima edizione un po’ zoppa dal punto di vista tecnico: a causa del diktat di Franco, il mondo non potè gustarsi il duello fra Lev Yashin e Alfredo di Stefano nei quarti di finale. La politica, quella volta, ebbe la meglio sullo sport.

ARNO LUPI

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