Mondo, 19 dicembre 2019

Così i sovranisti sono diventati il partito della classe operaia

Operai, classe media impoverita dalla globalizzazione, ceti popolari: è fuori discussione che negli ultimi anni – dal 2016 in particolare, anno del referendum sulla Brexit ed elezione di Donald Trump – la nuova destra conservatrice abbia saputo intercettare gli umori e – i consensi – dei ceti meno abbienti dell’occidente che tradizionalmente votavano i vecchi partiti socialisti e di sinistra.

Nel Regno Unito, gli elettori che hanno dato a Boris Johnson la più grande maggioranza conservatrice dopo Margaret Thatcher vogliono posti di lavoro sicuri e maggiore protezione e BoJo sembra aver abbandonato le vecchie politiche dei tories: come nota il New York Times, nel suo primo discorso ha promesso di governare come un grande conservatore, abbandonando l’austerità dei suoi predecessori e promettendo altresì maggiori investimenti e spesa pubblica, stanziando miliardi di sterline per sostenere le scuole della Gran Bretagna e il Servizio sanitario nazionale, e assumendo 20.000 agenti di polizia. Segnale che qualcosa nel campo conservatore è cambiato, come dimostra anche l’avversione di BoJo per i milionari “globalisti” di Davos.

Dall’altra parte dell’Atlantico, in Michigan, nella Rust Belt operaia, cuore industriale dell’America, dove Donald Trump nel 2016 ha prevalso di appena 10 mila voti, il Presidente Usa potrebbe vincere di nuovo: la disoccupazione è ai minimi storici e l’occupazione manifatturiera è ben al di sopra dei livelli del 2016. Il conservatorismo nazionalista di Trump – che qualcuno potrebbe definire “sovranismo” – è visto da buona parte dei ceti popolari americani come un modello di protezione e di sicurezza migliore rispetto al globalismo laissez faire dei democratici, maggiormente impegnati a tutelari i diritti delle minoranze in nome del politicamente corretto che non quelli degli operai e della classe media.

“I repubblicani sono il nuovo partito della classe operaia”

In un’intervista rilasciata al Guardian, l’ex stratega di Donald Trump alla Casa Bianca, Steve Bannon, racconta questo cambio di paradigma del partito repubblicano e, in generale del campo conservatore: “Abbiamo trasformato il partito repubblicano in un partito della classe operaia”. Ora, afferma, “è interessante notare che non abbiamo rappresentanti eletti che lo credono, ma questo è
un problema di eredità. Lo supereremo. Dobbiamo trovare i nostri Alexandria Ocasio-Cortez”. Bannon ammira la giovane deputata dem: “Continuo a dire che ammiro Alexandria Ocasio-Cortez. Penso che la sua ideologia sia tutta incasinata, ma la voglio. Voglio reclutare baristi. Non voglio reclutare altri avvocati. Voglio i baristi”.

Bannon ha poi tracciato alcuni parallelismi fra Donald Trump e le elezioni generali britanniche, dove ha trionfato Boris Johnson. “Penso che i democratici – ha aggiunto – che si tratti del New Green Deal o dell’assistenza sanitaria per gli immigrati irregolari, dovrebbero prendere lezioni dalla classe operaia. Come i laburisti da una vita che hanno votato per un tory”. L’ex stratega del Presidente Usa, osserva che “se vogliamo che il capitalismo sopravviva, dobbiamo rendere le persone capitaliste. Il problema è che non sono capitaliste. Abbiamo oligarchi e servi. Tale sistema non sopravviverà. Dico ai donatori, mi odierete, ma tutte quelle cazzate di Paul Ryan alla Heritage Foundation non possono vincere le elezioni nazionali. Non può vincere in Wisconsin, ok? Donald Trump può farlo”.

Trump, Working class hero

Come nota Marco Gervasoni nel suo saggio La rivoluzione sovranista. Il decennio che ha cambiato il mondo (Giubilei Regnani, 2019), nel caso degli Stati Uniti e di Donald Trump “non è la prima volta che un presidente repubblicano diventa un working class hero: lo fu a suo modo Richard Nixon, il primo a strappare i sindacati al partito democratico, a cui era legato fin dai tempi del New Deal”. Anche se, sottolinea Gervasoni, “Nixon lo fece promuovendo una politica economica e fiscale quasi liberal, e certo non ostile ai sindacati, mentre Trump ha fatto il contrario: ha favorito la spinta alla produzione grazie a un massiccio taglio fiscale”.

Sulle motivazioni che hanno portato dei sovranisti-conservatori ad essere in grado di attirare le simpatie dei ceti popolari dovrebbe forse interrogarsi la sinistra, la quale, tuttavia, sembra aver cambiato il proprio elettorato di riferimento, strizzando l’occhio all’élite transnazionale e cosmopolita: più Davos, dunque, e meno consigli di fabbrica. Ma il “popolo”, nel frattempo, preferisce Donald Trump e Boris Johnson, così diversi ma coì uguali nell’essere fieramente anti-progressisti.

(Roberto Vivaldelli / insideover.it)

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